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In Che Modo l’Aspetto di Una Persona Influenza il Nostro Giudizio?

In Che Modo l’Aspetto di Una Persona Influenza il Nostro Giudizio?
28 maggio 2018

rL’idea che ciò che è bello sia anche buono – o giusto, interessante e di valore ecc. – arriva da molto lontano. Probabilmente già dalla cultura classica, che legava – col concetto della kalokagathìa – aspetto esteriore e interiore, perfezione fisica e morale. Gli studi scientifici sul nostro modo di vedere e trattare gli altri oggi confermano che si tratta di una credenza diffusa e probabilmente solo parzialmente conscia: tendiamo a fidarci di più di chi ha un aspetto gradevole e questa dinamica è molto precoce.

Le ricerche sui neonati hanno scoperto infatti che già a 14 ore dalla nascita i bambini preferiscono guardare facce attraenti. La preferenza pare si estende anche agli animali non umani – come i gatti – e questi risultati indicano che la predilezione per l’armonia corporea e fisiognomica è qualcosa di innato e quindi del tutto spontaneo. Eppure non si può certo dire che non sia un tema pieno di implicazioni sociali e morali.

Gli esempi che si possono fare sono molti: una ricerca americana di qualche tempo fa – condotta dal professore Dan Ariely della Duke University – ha scoperto ad esempio che le donne statunitensi sembrano manifestare una spiccata preferenza nell’uscire con uomini più alti, e che gli uomini più bassi, per essere giudicati attraenti dalle donne, devono guadagnare più denaro degli uomini più alti. Di ricerche di questo tipo ne esistono molte e alcune sono curiose. C’è chi ha per esempio ha osservato che nel caso degli scienziati e della divulgazione scientifica invece il pregiudizio si inverte: tendiamo a dare più credibilità agli scienziati bruttini.

Insomma, in ogni caso sembra proprio che il nostro cervello funzioni mettendo in atto dei meccanismi di scelta e preferenza basati su criteri estetici. È questa la ragione dietro al fatto che le persone attraenti sembrano avvantaggiate anche dal punto di vista della carriera: per loro essere selezionate e favorite nei vari iter professionali sarebbe più facile. Daniel Hamermesh, autorevole economista dell’University of Texas, sostiene: “Le persone oggettivamente belle fanno carriera più facilmente e guadagnano di più: il 4% per cento gli uomini, addirittura l’8% le donne”. E propone addirittura un indennizzo per chi è meno fortunato.

Alcuni studi più recenti in realtà tendono a mettere in discussione che esista una correlazione diretta tra aspetto e reddito, mostrando come i fattori da tenere presente sarebbero anche (e soprattutto) altri: l’effetto “beauty premium” sull’ammontare dello stipendio si annulla nel momento in cui vengono considerate variabili intervenienti quali salute, benessere e personalità.

Se arrivare addirittura a correlare bellezza e reddito sembra eccessivo, è evidente che il tema però esiste e influenza le nostre preferenze quotidiane, come raccontano questi ragazzi e ragazze “estremamente belli”. Sia chiaro: se si parla di vita sentimentale e sessuale ognuno ha tutto il diritto di scegliere i partner che più trova intriganti esteticamente, ci mancherebbe altro, ma quando questo pregiudizio si attiva in altri ambiti può dar vita a favoritismi o persino a vere e proprie discriminazioni.

In inglese esiste un termine preciso, “lookism”, il quale indica proprio il trattamento discriminatorio nei confronti delle persone considerate fisicamente poco attraenti, principalmente sul posto di lavoro, ma anche in contesti sociali di altro tipo. Pur non essendo classificato nello stesso modo della discriminazione razziale, culturale, sessuale, il pregiudizio estetico influenza il modo in cui le persone vengono percepite e incide sulle loro opportunità, anche in ambito lavorativo.

Il termine “lookism” è stato coniato per la prima volta negli anni ’70: venne utilizzato nel Washington Post Magazine nel 1978, dove si affermava che la parola era stata scelta dalle persone in sovrappeso che avevano deciso di usarla per riferirsi proprio alle “discriminazione basata sull’aspetto”.

Le ricerche sullo stereotipo “Ciò che è bello è anche buono” mostrano che, nel complesso, le persone che sono fisicamente attraenti beneficiano del loro aspetto positivo: gli individui fisicamente avvenenti sono percepiti in modo più positivo e l’attrattiva fisica ha una forte influenza sul giudizio della competenza di una persona. In media, le persone fisicamente attraenti hanno più amici, migliori abilità sociali e più attive vite sessuali, anche se l’attrattiva sembra non avere alcun effetto diretto sul livello di felicità vissuto dall’individuo.

Fino agli anni ’70, il pregiudizio estetico negli Stati Uniti a volte è stato addirittura stabilito per legge, con le cosiddette ugly laws. In molte giurisdizioni, alcune disposizioni giuridiche impedivano infatti alle persone di apparire in pubblico se avevano malattie o deturpazioni considerate sgradevoli. Oggi alcune città americane proteggono dalla discriminazione basata sull’estetica, ma non esiste alcuna legge federale che protegga dalla discriminazione basata sull’aspetto fisico.

È chiaro come questo sia un tema che tocca da vicino l’identità femminile, data la quantità di pregiudizi che da sempre gravano sul corpo e sull’aspetto delle donne. Un esempio illuminante del pregiudizio estetico arriva infatti dal TED talk di Madeleine Albright del 2010 (“Sull’essere donna e diplomatico”) in cui Albright esprime le sue frustrazioni per il trattamento ricevuto negli anni dai suoi colleghi maschi e dai commentatori  dei media. Trovandosi ad essere la prima donna segretario di Stato degli Stati Uniti, Albright si è sentita scrutata e esteticamente vivisezionata: tutto – età, peso, pettinatura, scelta del vestito – venivano analizzati e commentati (dinamica ancora oggi decisamente in voga). Le sue posizioni politiche e i suoi traguardi più importanti – l’avvio del G7, i tentativi di promuovere l’uguaglianza di genere, ecc. – venivano appena tenuti in considerazione: il fatto che il suo aspetto non rientrasse nella ristretta categoria di ciò che è considerato attraente ha reso ancora più difficile per lei essere donna e diplomatico.

Alcuni autori hanno esaminato questo fenomeno anche nella comunità gay: tra ragazzi e uomini omosessuali esisterebbe addirittura una sorta di “fascismo del corpo”, ovvero un insieme di standard di bellezza molto rigidi che spingono tutti ad adeguarsi, pena la sanzione sociale o l’esclusione. In una cultura in cui il corpo è tenuto in così grande considerazione, il dogmatismo estetico non si limita a penalizzare le possibilità romantiche e sessuali di una persona: il fascismo del corpo può arrivare a marchiare un individuo come completamente privo di valore proprio in quanto persona.

Secondo Nancy Etcoff, psicologa del Massachusetts General Hospital: “ci troviamo di fronte a un mondo in cui quello riguardante l’aspetto è uno dei pregiudizi più diffusi e al contempo maggiormente negati”. Nella nostra cultura non c’è solo un premio per la bellezza, c’è anche una penalità per chi è ritenuto poco attraente. Quando la discriminazione sulla base dell’aspetto si trasforma in paura, rifiuto o avversione vera e propria, si parla di cacofobia. A volte la cacofobia può essere interiorizzata e quindi diretta verso se stessi più che verso gli altri.

È difficile individuare rimedi o ricette affidabili per superare quella che, almeno in parte, è una tendenza psicologica comune al funzionamento della nostra mente. Quello che sicuramente ha senso fare è essere consapevoli di questi meccanismi, che possono scattare anche in automatico. Imparare a riconoscerli è già un primo passo per evitare che facciano troppi danni.

E poi è importante diffondere – come in parte già si sta facendo – esempi di bellezza alternativi, così che i canoni di bellezza si moltiplichino, portando la sensibilità media delle persone a vedere i tanti modi differenti in cui uomini e donne  possono essere belli. Modi si spera sempre più legati alla personalità, al gusto e all’unicità di ognuno, e sempre meno a caratteristiche rigide e ripetitive.

Source: freedamedia.it

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