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Decreto legge 86/2018, chi si occuperà di dissesto idrogeologico?

Decreto legge 86/2018, chi si occuperà di dissesto idrogeologico?
20 agosto 2018

Livorno, gli effetti del dissesto idrogeologico

Il decreto legge n. 86/2018 non può essere considerato un “ordinario” passaggio di competenze e riordino di alcuni ministeri perché va a incidere in modo significativo sulla governance di emergenze ambientali, di azioni di prevenzione e sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio, a partire da quello scolastico. A pensarla così è Legambiente. “Se è condivisibile che le competenze sul monitoraggio e la bonifica del territorio della cosiddetta “Terra dei fuochi” siano state poste in capo al Ministero dell’Ambiente, ci sorprende che si demandino al Ministero dell’Ambiente i compiti affidati alla struttura di missione per il contrasto al rischio idrogeologico e di tutela della risorsa idrica, in mancanza di un progetto alternativo che indichi in modo chiaro come il nostro Paese intenda fare fronte alle emergenze e alla necessità di prevenire i numerosi rischi che hanno portato alla creazione di tale struttura” spiega Stefano Ciafani presidente di Legambiente.

L’istituzione delle strutture di missione che si vogliono eliminare e la loro allocazione presso la Presidenza del Consiglio sono state una risposta per recuperare anni di ritardi nella messa in sicurezza dei territori, nella depurazione delle acque, nella sicurezza delle scuole. Pur con alcuni limiti, tali strutture hanno potuto coordinare le numerose competenze in capo a diversi enti centrali e locali, individuare e convogliare le diverse risorse rimaste inutilizzate per anni, accompagnare e sostenere gli enti locali nella progettazione e realizzazione degli interventi, monitorare i cantieri.

“Un mero passaggio al Ministero dell’Ambiente delle competenze esercitate dalla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, così come previsto dal testo del decreto, è una scelta miope per un Paese ad elevato rischio idrogeologico e con tre procedure d’infrazione europee per mancata depurazione, di cui due sfociate in condanna, e con una multa di svariate centinaia di milioni di euro – continua Stefano Ciafani –  Si consideri che l’emergenza legata al rischio e al dissesto idrogeologico si è aggravata negli anni e si aggraverà sempre più per via dei mutamenti climatici, e il Ministero dell’Ambiente non ha ancora dotato il nostro Paese del Piano di Adattamento ai mutamenti climatici. Tali tematiche riguardano in modo trasversale diverse competenze (dalla Protezione civile alle infrastrutture, dalle risorse economiche alle politiche ambientali e di pianificazione territoriale). E’ importante che ci sia un soggetto che si assume l’onere di svolgere un ruolo di coordinamento tecnico tra i diversi enti competenti, mettendo a sistema le politiche e le misure previste”.

Secondo l’associazione il Ministero dell’Ambiente potrebbe far fronte a tali compiti solo e soltanto se lo si attrezza con competenze tecniche qualificate e fa tesoro della esperienza accumulata in questi quattro anni. Negli anni il Ministero dell’Ambiente ha subito un depauperamento di risorse economiche e di personale tecnico. Di fatto le competenze tecniche sono state esternalizzate; per le competenze su bonifiche, depurazione, ecc… si attinge al personale della società per azioni SOGESID, a nostro parere in modo inopportuno. Per Legambiente è necessario dotare quindi il Ministero di proprio personale qualificato, reclutabile in modo trasparente con un concorso pubblico. Ma intanto non possiamo permetterci il lusso di fermare, o rallentare, il lavoro di contrasto e di prevenzione del rischio anche solo per alcuni mesi.

Legambiente trova incomprensibile anche la scelta, non motivata, di chiudere la Struttura di Missione per l’edilizia scolastica che tanto merito ha avuto nel rilanciare e riqualificare l’edilizia scolastica come non si faceva da due decadi. Non basta che un Ministero metta a bando le risorse, serve un supporto agli Enti Locali nella progettazione e realizzazione degli interventi, pena il non utilizzo delle risorse, e serve monitorare i cantieri.

Inoltre il progetto Casa Italia, dopo l’ennesimo evento sismico nel Centro Italia del 2016 che ha reso ancora più evidente lo stato di insicurezza in cui versa il patrimonio edilizio pubblico e privato, aveva l’ambizione di prendersi cura dell’intero patrimonio abitativo e delle aree urbane. La sua utilità stava proprio nell’idea di affrontare il tema della prevenzione in un Paese con molteplici rischi come l’Italia, affrontati sempre in ordine sparso, superando la divisione di competenze tra Protezione civile e i Ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture: un ruolo importante e prioritario per il futuro del nostro Paese. Il Dipartimento, così come istituito nel luglio 2017 (anche se ad oggi non abbiamo potuto riscontare politiche e atti concreti coerenti con le intenzioni) avrebbe dovuto svolgere un ruolo di coordinamento e monitoraggio per tutte quelle politiche e misure per mettere in sicurezza il patrimonio abitativo, dal censimento sul territorio fino agli interventi di adeguamento sismico degli edifici pubblici e privati.Si deve passare da un approccio che segue emergenze e disastri a una lettura complessiva del territorio italiano attraverso un Piano nazionale di adattamento e a interventi coerenti e coordinati. Aiutare così anche i Comuni, che devono elaborare Piani Clima (a partire da quelle più a rischio, come Genova, Messina, Roma) in cui si individuano i rischi, gli interventi prioritari, i tempi di attuazione. Il testo del decreto prevede l’eliminazione del Dipartimento e un generico passaggio delle sue funzioni alla Presidenza del Consiglio, senza specificare chi e come se ne occuperà. Anche su questo ci auguriamo che al Senato e alla Camera si apra un dibattito per dotarsi di un progetto pluriennale che metta in sicurezza le nostre città.

Il passaggio del settore Turismo dal Ministero dei Beni Culturali a quello delle Politiche Agricole suscita più di una perplessità non tanto per l’allocazione in sé, quanto piuttosto per l’idea che possa trattarsi di un comparto così trascurabile da potersi agevolmente spostare da questo a quel dicastero. Il turismo da solo nel nostro Paese totalizza circa l’11,8% del Pil nazionale e il 12,8% dell’occupazione. I lavoratori impiegati nel turismo sono tre volte e mezza quelli che operano nell’agricoltura. Turismo e Cultura sono gli elementi distintivi del Brand Italia e il nostro Paese è al primo posto nel ranking mondiale della Brand Reputation. In questo senso, per l’associazione sarebbe quanto mai necessario approcciarsi a questo comparto guardando a esso come a una filiera produttiva assolutamente peculiare, da declinarsi in maniera preziosa e originale e non come derivante del food e/o del complesso del patrimonio storico artistico e culturale. Non si tratta neanche di pensare a un Ministero autonomo, ipotesi ormai archiviata dagli eventi, ma sicuramente di restituire al turismo centralità e originalità accompagnando le caratteristiche imprenditoriali del comparto.

 

Source: lanuovaecologia.it

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