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Ridurre il gender gap

10 maggio 2017

Che gli stereotipi di genere inizino a mettere radici nella nostra testa, e nella costruzione della nostra personalità, quando siamo bambini, è ormai un dato di fatto. Ne abbiamo anche già parlato: un studio, pubblicato su Science, ha evidenziato che le bambine iniziano a pensare che i maschi siano più intelligenti di loro intorno ai sei anni. Nello studio si spiegava, tra le varie cose, che questa convinzione è in parte causata da abitudini sociali, come quella per cui ai bambini si regalano giochi “più difficili” e scientifici, mentre alle bambine bambole o micro simulazioni di elettrodomestici.

Una delle principali conseguenze di queste abitudini è l’abissale differenza che uomini e donne hanno nel rapporto con la tecnologia, in qualsiasi senso lo si intenda. Stando ai dati sono moltissime le donne che, ancora oggi, non possiedono un cellulare e non sanno utilizzare internet, neanche nelle sue funzioni più elementari. Questo ovviamente non perché non siano in grado, ma perché nella maggior parte dei paesi non vengono educate a farlo e sono diffidenti nei confronti della tecnologia: sono convinte di non saperla usare. Sempre stando ai dati si tratta di un divario che non accenna a diminuire, ma che, anzi, è in aumento.

Stiamo parlando di un problema enorme, perché sappiamo bene che oggi la maggior parte dell’informazione e dell’istruzione passa proprio attraverso la rete e non avere gli strumenti per usufruirne significa essere tagliati fuori da quei processi di comunicazione che dovrebbe essere considerati a tutti gli effetti un diritto.
A sostegno di questo diritto, soprattutto delle bambine, e quindi dell’introduzione nelle scuole di programmi di formazione specifici, sono state lanciate diverse iniziative; addirittura l’International Telecommunications Union ha istituito la Girls in ICT day, cioè una giornata apposita dedicata a incentivare il rapporto tra le giovani donne, la tecnologia e l’informazione.

Questa tendenza spiega anche perché, ancora oggi, le ragazze che decidono di intraprendere una carriera scientifico-tecnologica sono poche. Non è per una questione di mancanza di interesse, ma è perché è ancora forte la convinzione secondo cui la tecnologia è una cosa da maschi, perché gli uomini sono naturalmente inclini a lavorare con computer e algoritmi. E si tratta di una tendenza che, come ben sappiamo, non si manifesta solo in alcune parti del mondo e non in altre: riguarda tutti e da molto vicino.

Per cercare di contrastarla ci vorrebbe la collaborazione di più elementi, ma soprattutto sarebbe necessario un mutamento generale di prospettive. Perché sicuramente i programmi educativi e la formazione sono fondamentali, per consentire anche alle bambine di avere le stesse possibilità dei maschi, ma è necessario anche che le aziende tech si decidano ad aprire le porte, in modo diverso, all’enorme risorsa che le donne potrebbero rappresentare per loro.
A febbraio di quest’anno la BBC analizzava il problema in un articolo intitolato Does Silicon Valley have a sexism problem? La risposta a questa domanda sembra essere di sì. Il principale problema che si riscontra nel rendere sessualmente più eterogeneo l’ambiente dell’industria tecnologica è dato dalla resistenza che questa oppone a modificare la sua struttura per renderla più accogliente nei confronti delle donne, pretendendo invece che siano loro a cambiare i propri bioritmi e la propria natura per riuscire a entrarci. Basta pensare alla proposta, che ha giustamente fatto molto discutere, di grandi del tech, come Apple e Facebook, che hanno dato alle loro dipendenti la possibilità di congelare i propri ovuli per evitare che la gravidanza creasse intoppi all’azienda e alla loro carriera. Oppure, anche in questo caso, basta dare un’occhiata ai dati:

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Anche a questo proposito sono sorte, nell’arco degli ultimi anni, numerose associazioni e iniziative, a sostegno delle donne nel mondo della tecnologia. Sono tutte, ovviamente, fondate e volute da donne, che hanno deciso di prendersi l’impegno di incentivare l’impiego femminile in questo settore, attraverso due canali: l’informazione e l’educazione. Un ruolo importante viene attribuito all’infanzia in generale, come fase della vita in cui si radica quella visione pregiudizievole di cui abbiamo parlato dall’inizio. Girls Who Cose, Womans Who Code, Woman in Machine Learning, sono solo alcune di queste associazioni, le più importanti e le più note.

La tecnologia è uno strumento potentissimo, in larga parte ancora sconosciuto, che potrebbe aiutarci a ridurre il gender gap, invece di aumentarlo. Per questo è fondamentale affrontare il problema il prima possibile e quotidianamente, perché ne va dei diritti delle donne, della risorsa che possono essere per le industrie tech e per la ricerca, e quindi della tecnologia stessa.
Reshma Saujani, fondatrice di Girl Who Code, nel 2013 ha detto: “voglio che la prossima generazione di Mark Zuckerberg e Jack Dorsey sia fatta di donne”. Noi vogliamo che sia fatta di uomini e di donne, insieme. Quindi, mettiamoci al lavoro.

 

Source: freedamedia.it

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