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Ecofoodfertility: quanto influisce l’impatto degli inquinanti ambientali sulla salute degli spermatozoi

Ecofoodfertility: quanto influisce l’impatto degli inquinanti ambientali sulla salute degli spermatozoi
6 luglio 2018

Al congresso europeo Eshre uno studio italiano indica nel seme maschile un biomarcatore che funziona. Prima e meglio dell’esame sul sangue.

BARCELLONA – L’idea è utilizzare gli spermatozoi – anziché l’analisi del sangue – per misurare l’impatto dell’inquinamento sulla salute dell’uomo. Attraverso una chiave di lettura più precoce, predittiva e accurata rispetto al sangue. E i dati riportati da uno studio italiano al congresso Eshre (la società europea di riproduzione umana ed embriologia) sono allarmanti e inequivocabili: tra gli spermatozoi di chi vive nella Terra dei Fuochi e quelli di chi abita in zone non inquinate c’è un abisso.

Che l’inquinamento possa danneggiare la fertilità maschile non è una novità, e tanti studi lo confermano. Mentre il progetto Ecofoodfertility continua a lavorare per indagare e misurare l’impatto degli inquinanti ambientali sulla salute degli spermatozoi. “Nel lavoro presentato qui ad Eshre – precisa Luigi Montano, Urologo e andrologo alla Asl di Salerno e coordinatore del progetto – abbiamo confrontato 222 maschi, omogenei per età, stile di vita (non fumatori), indice di massa corporea, provenienti da due zone della Campania: la terra dei fuochi, ad alto impatto ambientale, e la zona del Sele, nel Salernitano, poco inquinata. Notando nel seme, e non nel sangue, differenze significative in termini di bioaccumulo di metalli pesanti, in particolare cromo, insieme a danni per lo stress ossidativo, riduzione degli enzimi antiossidanti, allungamento dei telomeri spermatici e danni al Dna degli spermatozoi. Questi dati, con altri in via di pubblicazione, indicano che nel seme prima che nel sangue si può avere una misura di quanto pesi l’inquinamento sulla salute umana. E come si possa utilizzare quindi lo studio del seme come biomarcatore per il monitoraggio ambientale di chi vive in zone ad alto impatto ambientale”.

Ovviamente quello del biomonitoraggio è il primo passo per individuare le zone ad alto rischio ambientale e soprattutto quanto l’inquinamento impatti sulla salute di chi vi abita, anche su quella riproduttiva. Il passaggio successivo dovrebbe essere la bonifica dei territori. “Un dato oggettivo e indiscutibile può aiutare a intervenire subito – continua Montano, che ha lavorato ad Acerra – e il progetto mira infatti a studiare gli spermatozoi di chi vive in altre aree inquinate del paese, Gela, Piombino, Taranto. Usando il seme maschile come indicatore precoce dello stato di salute dell’ambiente e della popolazione”. Anche di quella futura, visto che il danneggiamento degli spermatozoi potrebbe rendere più vulnerabili i nuovi nati.

Inquinanti a parte, il tema della prevenzione è come sempre centrale. Sono infertili più di 50 milioni di coppie nel mondo e poco si fa per tutelare la propria fertilità sin da giovani evitando comportamenti che la danneggiano, come fumo e droghe, eccesso di alcol, poco sonno e stress, alimentazione scorretta, troppo ricca in grassi animali e povera di frutta e verdura.

 

Source: repubblica.it

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