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Edith Piaf per Chi la Conosce e per Chi Ancora la Deve Scoprire

26 agosto 2017

Édith Piaf ha trovato molto presto il suo canto. Ed ecco che una voce che viene dalle viscere, che la abita dalla testa ai piedi, srotola una grossa onda di velluto nero. Quest’onda calda ci sommerge, ci attraversa, ci entra dentro. Il gioco è fatto. Édith Piaf diventerà invisibile anche lei, come l’usignolo invisibile posato sul ramo.

Queste le parole che scrive Jean Cocteau nella prefazione del libro Au bal de la chance, che racconta la vita e le vicissitudini della grandissima cantante e cantautrice francese, forse la più conosciuta di sempre. Una vita, la sua, che conosce tanto la povertà quanto la fama e il successo; la storia di una voce particolarissima, quella del passerotto (piaf, come veniva per l’appunto soprannominata) che viveva la sua Parigi cantandone amori e dolori, sofferenza e bellezza, orgoglio e ferite mai rimarginate. L’indomabile e fragile Edith non risparmia neanche un pezzetto della sua anima né nell’arte, né nella vita, morendo ad appena 47 anni ma dimostrandone assai di più, segnata nel corpo dalla malattia, dagli abusi e dagli accadimenti tragici della sua vita. Impossibile non rimanere toccati dalla carnalità e dalla delicata poesia della sua voce, oltre che dalla sua storia, che la leggenda vuole avere inizio proprio nelle strade parigine, davanti agli scalini dell’abitazione al numero civico 72 di Rue Belleville, come si legge sulla lastra commemorativa che le hanno dedicato. I documenti ufficiali in realtà dicono che Edith Giovanna Gassion è nata all’Ospedale di Tenon, nei pressi di Belleville nel dicembre del 1915 da una cantante di strada e un saltimbanco; non essendo in grado di badare alla bimba, per i primi anni di vita viene data in affidamento alla nonna Louise Léontine Descamps, che viveva in una casa di tolleranza nell’Alta Normandia. Di lì a poco viene colpita da una malattia agli occhi, la cheratite, e la nonna la porta a Lisieux per far pregare la bimba e chiedere la guarigione a Santa Teresa. Da quel momento in poi Édith fu devotissima alla santa e manterrà sempre l’abitudine di accenderle un cero.

All’età di sette anni, il padre la riprende e la porta con sé a esibirsi per strada: l’idea era quella di farle fare un numero acrobatico, ma la bimba comincia a cantare con quella voce unica – e già “matura” per la sua giovanissima età – che folgora il pubblico di passanti, diventando in breve tempo una vera e propria attrazione. Continua a cantare con il soprannome di Miss Édith e a 17 anni rimane incinta di una bambina, la piccola Marcelle, che morirà a soli due anni per una meningite. Pur provata da questo lutto, Edith continua a esibirsi e viene scoperta a 20 anni dall’impresario Louis Leplée, dopo un’audizione tenutasi al Le Gerny’s – locale di cabaret vicino agli Champs Elysées. La fa debuttare con il nome di La Môme Piaf nel 1935, e in brevissimo tempo si sparge la voce di questa interprete eccezionale. Accorrono ad ascoltarla molti personaggi di spicco dell’epoca, tra cui il suo futuro impresario Raymond Asso, che prenderà il posto di Leplée quando questi verrà assassinato. Con Asso a comporre i suoi primi testi e le armonie della celebre Marguerite Monnot, la giovane viene ribattezzata nuovamente come Edith Piaf e firma nel 1936 il suo primo contratto con la Polydor, dando il via alla sua carriera, inaugurata col brano Les Mômes de la cloche.

La sua folgorante entrata nel mondo della musica le permette di conoscere personaggi come Jean Cocteau, Yves Montand, Charles Aznavour, Georges Moustaki e molti altri. Cambia nuovamente impresario e, dopo Asso, incontra Louis Barrier con cui avvierà uno stretto sodalizio. Intanto, nel 1944 contribuisce a lanciare Yves Montand, con cui avrà un breve legame sentimentale e duetterà nel film Etoile Sans Lumière con la canzone C’est Merveilleux; dell’anno successivo invece, la sua canzone più famosa, che diventerà una delle canzoni francesi più famose di sempre: La Vie En Rose.

Poco tempo dopo, parte per una tournée negli Stati Uniti, dove ad applaudirla ci sono Marlene Dietrich e Orson Welles; proprio in occasione di un suo concerto, nel 1947, incontrerà a New York il grande amore della sua vita, il pugile Marcel Cerdan, campione di pesi medi. È un colpo di fulmine per entrambi, ma mantenere la relazione è difficile: Edith si divide tra Francia e Stati Uniti per via della sua carriera in ascesa, Cerdan è sposato con figli. Riuscire a vedersi non è cosa facile e iniziano una lunga corrispondenza; per i due era probabilmente chiaro che la relazione dovesse finire (sembra che nelle sue lettere Marcel fosse molto chiaro sul fatto che non avrebbe lasciato la moglie per Edith) ma l’interruzione del loro rapporto avviene per un tragico incidente aereo in cui Marcel muore, nell’ottobre del 1949. Si dice che Edith avesse sollecitato il suo arrivo in aereo invece che in nave, per far sì che arrivasse più in fretta. Pur devastata dalla notizia, non rifiuta di esibirsi nel concerto della sera dell’incidente e gli dedica la performance, dicendo, in apertura: “Questa sera canto per Marcel, solo per lui”. Ma quando comincia a cantare Hymne à l’amour, canzone a lui dedicata, il dolore è troppo forte, perde i sensi e cade a terra.

Inizia un periodo molto difficile: la depressione, l’artrite reumatoide, i dolori in seguito a un incidente quasi fatale e disturbi legati alle vita sregolata degli anni precedenti la mettono a dura prova, ma Edith è come se si “aggrappasse” a questa voce: nulla le impedisce di cantare e collezionare un successo dietro l’altro. Nel repertorio dei suoi concerti ci sono canzoni come Le vagabond, Les amants e La Foule. Guadagna molto e spende altrettanto ma il suo stile è semplice e inconfondibile – indossa infatti spesso il suo fedele abito nero. Continuano i sodalizi artistici con uomini che le scrivono canzoni – come Georges Moustaki che scrive per lei la celebre Milord.

Edith si sposa due volte: la prima, nel 1952 con Jacques Pills da cui divorzia nel 1956. Sono gli anni in cui cerca di disintossicarsi dalla dipendenza dai farmaci – ma ancora, niente le impedisce di incantare il suo pubblico con nuove intense canzoni, come le formidabili Non, Je Ne Regrette Rien e Mon Dieu. Il secondo matrimonio arriva poco dopo, nel 1961, con Théo Sarapo, artista che contribuisce a lanciare e che sarà il compagno con cui trascorrerà i suoi ultimi anni. Già provata dal continuo uso di farmaci e dalla malattia, la ricaduta dopo una broncopolmonite le è fatale: muore il 10 ottobre del 1963 a Grasse, ma viene portata subito nella sua Parigi, città dove voleva morire. La notizia della sua morte sconvolge tutta Francia – e il mondo intero: in tantissimi partecipano al funerale, tenutosi a Le Père-Lachaise, insieme alla figlia e al padre. Jean Cocteau riesce a scriverne l’elogio funebre per poi morire poche ore dopo aver appreso la notizia della morte. Per ricordarla con le sue parole, scrive:

Non ho mai conosciuto un essere umano così poco avaro della sua anima. Non la dispensava, la prodigava, ne buttava l’oro dalla finestra.

Ma lei, dei suoi eccessi, dei dolori e dei grandi amori non rimpiange nulla. O per lo meno, con questa forza e con questo amore per la vita ci arrivano le parole che canta nella celebre Non, Je Ne Regrette Rien:

Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal / Tout ça m’est bien égal

No, niente affatto / No, non ho rimpianti / Né per il bene o per il male che ho fatto/ Per me è lo stesso

Source: freedamedia.it

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