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Elena, 16 anni, racconta di quando ha deciso di non mangiare più

24 febbraio 2017

L’autrice di questo libro ha sedici anni e si vede. Potrebbe sembrare la premessa di una critica. È vero, tecnicamente Il peso della felicità (di Cobainsbaby, pubblicato da Mondadori) non brilla, bisogna dirlo. Lo stile è più che acerbo, basilare, poco ricercato. Ma l’autrice ha sedici anni, vi dicevo, e questo ci regala almeno un pregio assoluto: la completa onestà. Su che cosa? Su cosa vuol dire avere un disturbo dell’alimentazione. Non si tratta solo di diete molto dure, come pensano alcuni, e non si tratta nemmeno solo di avere aspettative irrealistiche riguardo ai nostri corpi, anche se indubbiamente questo c’è. Elena – nome reale dell’autrice – non è “grassa”, è inserita bene nella sua classe, ha molte amiche, una famiglia presente e attenta ai suoi bisogni. Allora perché diventa anoressica? Per un malessere tutto interiore, e il rapporto malato che sviluppa con il cibo è un tentativo di gestirlo. Essere anoressica, o bulimica, o entrambe le cose a tempi alterni, significa costruirsi da sole un’impalcatura fittissima e spietata di regole e chiudercisi dentro volontariamente. È un isolamento forzato dentro se stesse. L’autrice ci parla delle sue motivazioni e di alcuni suoi trascorsi, ma senza affondare la penna, come ci si aspetta da qualcuno che sta ancora rimettendo insieme i cocci della propria vita e non pretende di poter dare spiegazioni o consigliare soluzioni. Ciononostante, è una lettura utile. Perché? Perché concentra il racconto sul momento più difficile e purtroppo lungo della malattia, cioè quando le cose iniziano ad andare per il verso sbagliatissimo e sembra impossibile tornare indietro.

Avere un disturbo alimentare non è ‘romantico’, non è come far parte del cast di Braccialetti Rossi. È solo una grande fonte di dolore e sofferenza, che sei destinato a portarti dietro per tutta la vita.

Elena passa da ricoveri ospedalieri a strutture specializzate, ad altri ricoveri ospedalieri. Viene nutrita con il sondino e costretta a mangiare quello che ha nel piatto, ma niente di tutto questo la aiuta a star meglio se non fisicamente, e solo per poco.
Se c’è una cosa che il libro mette bene in luce è proprio quanto sia inutile focalizzarsi solo sul peso, nel trattare qualcuno che ha un disturbo alimentare. Vale per i medici, ma anche per amici e famigliari. Il problema non è il cibo, ma il sentimento che ti fa considerare il cibo una minaccia. Su questo, Il peso della felicità è molto chiaro, come solo il diario di un’adolescente può esserlo. Non so se questo libro possa aiutare le coetanee dell’autrice, ma certamente dice loro qualcosa, a giudicare dalle 300.000 letture su Wattpad.  Di sicuro, può aiutare amici e genitori che brancolano nel buio, e chiunque altro voglia sapere di più su questo male di cui si parla troppo, ma si conosce sempre troppo poco.

Source: freedamedia.it

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