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Essere Fantaghirò

5 ottobre 2017

È il 1991 e succede qualcosa, alle eroine femminili nei prodotti per ragazzi.
In Giappone inizia il manga di Naoko Takeuchi Bishojo Senshi Sailor Moon, che da qui a qualche anno colonizzerà anche l’Occidente nella sua versione anime, e negli Stati Uniti esce La Bella e la Bestia, il primo film Disney la cui protagonista è caratterizzata dalla sua intelligenza e dal suo amore per la lettura, oltre che dalla sua bellezza. Per una volta, non si sa come, l’Italia intercetta questo clima progressista e gli scappa una serie di film per la tv destinati a entrare nell’immaginario natalizio di un’intera generazione, al pari dell’albero e delle renne: Fantaghirò, il fantasy che – con la scusa del trash – ci riguardiamo da 26 anni, giurando su dio che è soltanto per Tarabas e non perché lo adoriamo.

Fantaghirò è una saga televisiva andata in onda tra il 1991 e il 1996, un capitolo all’anno e sempre nel periodo natalizio. Conta 5 film divisi in 2 parti ciascuno, in teoria, ma in pratica qualsiasi fan sarà pronto a giurare che i film siano 4, e che il 5 è stato solo il frutto di un’allucinazione collettiva.

Ispirato alla fiaba popolare Fanta-Ghirò bella persona – la cui versione più famosa è quella scritta da Italo Calvino -, il primo film fu una sfida più coraggiosa di quanto potremmo credere oggi: si trattava sia di affrontare dei costi di produzione insolitamente alti per un prodotto televisivo, sia di proporre in Italia un prodotto di genere fantasy, al quale il nostro Paese è da sempre restio. Eppure, l’esperimento funzionò. Con la sua messa in scena a metà tra il teatro paesano e il cinema d’avventura di cappa e spada degli anni ’50, Fantaghirò inchiodò allo schermo ben 6.5 milioni di spettatori, che si moltiplicano dopo che il titolo venne esportato in 48 Paesi. Game of Thrones, non sei nessuno.

Il successo del primo film lanciò il franchise e la carriera dei protagonisti, Alessandra Martines e Kim Rossi Stuart, rispettivamente Fantaghirò e il suo innamorato, il principe Romualdo (che poi si sarebbe negato per tutti i seguiti), e spinse le madri a credere che tagliare i capelli a scodella alle figlie fosse un’ottima idea (le figlie, posso garantirvelo, non la pensavano nello stesso modo).

Come ogni favola che si rispetti, quella di Fantaghirò comincia una volta, tanto tempo fa. Siamo in un non meglio precisato Medioevo, e due regni confinanti si fanno la guerra da così tanto tempo che si sono scordati perché. Il re è disperato perché non riesce ad avere un erede maschio, così quando nasce la sua terza figlia femmina reagisce in modo meno proattivo del Generale Jarjayes in Lady Oscar, ma altrettanto drastico: porta la neonata in una caverna per ucciderla. Quando prova a levare la spada, però, una forza sovrannaturale lo blocca, e lui mesto mesto è costretto a riportarla a casa.

Mentre le sue sorella sono un perfetto esempio di grazia, pazienza e altre virtù femminili, la piccola Fantaghirò è  tutto il contrario di quanto è richiesto a una principessa: vivace, curiosa, dal carattere deciso, ama leggere nonostante si tratti di un’attività riservata agli uomini e vorrebbe imparare a tirare con l’arco e di scherma. Purtroppo però suo padre non è Ned Stark, da quell’orecchio non ci sente, e lei viene continuamente derisa e punita. Una volta in età da marito (quindi a quanto, sedici anni?) le tre principesse vengono promesse in spose a dei tizi sconosciuti e sgradevoli, così Fantaghirò scappa nella foresta e lì incontra il Cavaliere Bianco, un uomo misterioso, che si offre di addestrarla nel combattimento. Un giorno, a causa di una freccia scoccata verso il sole, la ragazza incontra Romualdo, il principe del regno nemico. Naturalmente basta uno sguardo perché tra i due nasca l’amore, ma siamo soltanto all’inizio del film, ci vuole una difficoltà. Fantaghirò, infatti, ha il potere di mettere fine per sempre alla guerra, ma per farlo dovrà fingersi un uomo, sfidare e uccidere proprio l’ignaro Romualdo, che nel frattempo – come il povero capitano Shang in Mulan – è profondamente turbato dal dubbio di essere gay.

Fantaghirò sconfigge Romualdo, ma rifiuta di ucciderlo e torna a casa, dove il padre già la aspetta per esiliarla un’altra volta, forse la terza. A questo punto però Romualdo si reca a palazzo per ammettere la sua sconfitta e qui la rincontra, sta volta vestita da donna (immaginate il sollievo). Come si dice, tutto è bene quel che finisce bene, anche se in realtà la sfortuna perseguita Fantaghirò e in particolare il suo futuro marito, che nei 4 film verrà: catturato, rapito, sottoposto al lavaggio del cervello, pietrificato e trasformato in mostro. Poco male, perché la prode Fantaghirò sarà sempre pronta a impugnare la spada per andare a salvarlo, come si conviene a i coraggioso cavaliere col suo principe.

Devi cancellare la parola impossibile dal tuo vocabolario. L’importante nella vita è tentare! Ricordalo Fantaghirò, devi tentare!

Avrete capito che la nostalgia non mi spingerà a considerare Fantaghirò un capolavoro. La trama non era eccezionale, la realizzazione è totalmente camp e gli attori – doppiatissimi – erano espressivi circa quanto gli animali magici di gomma che compaiono qua e là nel corso della storia. Però, era inatteso. Ed era speciale.

Nei primi anni 90 era rarissimo trovare un’eroina simile a Fantaghirò, a maggior ragione nei prodotti d’intrattenimento trasversale, dedicati sia agli adulti che ai bambini. Fantaghirò era una spalla, una fidanzata, una sorella rompiscatole, una mosca bianca in un gruppo di amici maschi – era la protagonista indiscussa della sua storia. Sfrontata, combattiva, generosa, coraggiosa, il suo grande orgoglio non le consentiva di tirarsi indietro davanti a nessuna sfida, anche la più difficile, e la sua lingua tagliente rispondeva sempre per le rime a chi provava a sminuirla, anche quando sarebbe stato forse più saggio tacere. Per una bambina guardare Fantaghirò era come guardare fuori da una vecchia finestra e scoprire al di là un paesaggio nuovo e sorprendente. Era sognare di arrampicarsi sulle mura di un castello, di scappare nella foresta, di parlare con gli animali (o meglio ancora, con una pietra cafona), di tagliarsi i capelli con una spada (magari un po’ meglio) e partire a cavallo per una lunga avventura piena di trabocchetti da risolvere con la furbizia. Era sfidare il principe, anziché aspettarlo, e scoprire che esiste anche un principe che può amarti per quella che sei – testarda, coraggiosa, intelligente -, non per quella che ti dicono dovresti essere.

Fantaghirò ha altre due fortune molto rare.
La prima è quella di dividere lo schermo con dei comprimari femminili carismatici, sopra le righe e potentissimi. Parlo della Strega Bianca, madrina che non si accontenta di crearle un bel vestito come le altre, ma le fa da mentore, la guida, la addestra, le insegna a controllare gli impulsi e a trovare la vera forza dentro di sé – il tutto vestita per parte del tempo da cavaliere con la barbetta coi boccoli, che non è poco. Ma parlo anche della Strega Nera, la cattiva più camp di sempre, una Brigitte Nielsen squisitamente volgare, “isterica, volubile, collerica, assolutamente insopportabile”, che arriva nel nel secondo film e non si mangia soltanto la scena, ma pure gli attori, i fondali, i cavalli e la crew fino all’aiuto attrezzista. Fa-vo-lo-sa.
Forse da piccole sognavamo di essere Fantaghirò, ma diciamolo: la Strega Nera è la vera maestra di vita.

La seconda fortuna sono gli uomini. Sì, perché in un mondo di principesse che si fanno scegliere, Fantaghirò sceglie – e tra opzioni non male, va detto. Da una parte abbiamo Romualdo, il grande amore, come lei coraggioso e onesto, e dall’altra Tarabas, lo stregone oscuro che non riuscirebbe a recitare neanche per salvarsi la vita, ma come faceva lui il bagno coi pantaloni di pelle, nessuno. Come dite, non vi sembra importante? Non avevamo forse pure noi il diritto di sognare di poter scegliere tra da bonazzi fuori dalla nostra portata, esattamente come i maschi potevano sognare di poter scegliere tra le bonazze? Io questa la chiamo giustizia, ragazze. Giustizia e nient’altro.

Oggi è facile ricordare Fantaghirò come qualcosa di ingenuo, anche un po’ ridicolo. Invece Fantaghirò è uno scrigno, e se soffiate via la polvere che lo ricopre scoprirete che dentro c’è ancora tutto: il senso di meraviglia, la sorpresa, l’emozione di aspettare il seguito e la sensazione rara, difficile da definire mentre accade, di stare assistendo a qualcosa di unico. Fantaghirò non si è ripetuta, ma non è nemmeno sparita. Fa parte di noi, ci ha cresciute, è un pezzetto di quello che siamo. Lei ci ha insegnato che dobbiamo opporci, quando una regola ci sembra stupida, e che se provano a chiuderci in gabbia noi non dobbiamo accettarlo, ma saltare in sella a Chioma d’Oro e correre nella foresta, vivere avventure, amare.

Oppure, se fa più per voi, potete imparare dalla Strega Nera a portare con disinvoltura quel décolleté. Non è mica da tutte.

Source: freedamedia.it

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