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Il futuro dell’auto elettrica

6 novembre 2017

Dopo l’approfondimento sugli uragani, e quelli dedicati alla bomba atomica e al fondo sovrano norvegese, un nuovo long form di AGI su stato e prospettive dell’auto elettrica. L’obiettivo non cambia: in questa serie di articoli cerchiamo di fare chiarezza, in modo semplice e il più esaustivo possibile, sui grandi temi di attualità. Come metodologia di lavoro abbiamo scelto di mettere in campo le competenze che stiamo sperimentando ormai da un anno nei campi del data journalism e del fact-checking. Quello che vi apprestate a leggere è dunque un approfondimento condotto in pool dai nostri giornalisti con i colleghi di Formica Blu (Elisabetta Tola e Marco Boscolo) e di Pagella Politica (Giovanni Zagni e Tommaso Canetta). L’articolo può essere letto dall’inizio alla fine, oppure, andando direttamente alle sezioni di interesse, cliccando sui titoli del sommario che trovate qui sotto. Contenuto realizzato in collaborazione con Eni.

1) Da Mr. Parker al 2040

Silenziosa, più sicura, poco (o sicuramente meno) inquinante, l’auto elettrica si imporrà veramente, come molti studiosi sostengono e come auspicano in tanti, quale vettura del prossimo futuro? E’ una idea che nasce, in realtà, nel lontano passato degli albori dell’automobile, perché la paternità della prima auto elettrica risale all’inventore vittoriano Thomas Parker, che ne varò un rudimentale prototipo nel 1884, anche se un modello a batterie risulta presentato già a Parigi dal francese Gaston Trouvé nel 1881.

Parker sul prototipo di auto elettrica

E fu agli albori dell’auto, fra Otto e Novecento, che i veicoli elettrici riscossero un successo che solo adesso, specialmente per gli anni a venire, risulta realizzabile. Perché all’epoca furono soppiantati molto presto dai veicoli a combustibile, le cui prestazioni risultavano decisamente maggiori e su cui si concentrarono gli investimenti della nascente industria.

Il sogno di cavalcare l’elettricità

Un problema fu quello che è stato, ed è tuttora studiato, perché non sia più ostativo o quantomeno scoraggiante. Oggi e in futuro: costo e prestazione delle batterie nonché l’accessibilità a una ricarica quanto più possibile efficiente. Ma ci sono numeri in rapido progresso, destinati a essere più favorevoli quanto più crescerà la produzione dei veicoli e la loro diffusione. L’autonomia media di un’auto elettrica era stimata a 150 chilometri nel 2016, ma se ne è già annunciato il raddoppio per alcuni modelli Renault, Opel e Golf, ed è quantificata fra 450 e 600 chilometri per il 2020. La californiana Tesla Motors già offre, con il (costoso) Model S, un’autonomia che può superare i 600 chilometri per la versione top.

Tesla Model S

E’ sicura una cosa: il litio, elemento essenziale per la costruzione delle batterie, non scarseggerà anche qualora il mercato dell’auto elettrica si dovesse ampiamente sviluppare. Sulla Terra ve ne sono risorse utilizzabili in quantità tale – il dato è  dell’Us Geological Survey – che saranno largamente sufficienti a alimentare senza difficoltà il parco auto mondiale per 185 anni.

Non c’è dubbio circa la maggiore efficienza energetica dell’auto elettrica o la convenienza dei costi operativi, come vedremo più avanti, ma qualche perplessità sul miglioramento dell’impatto ambientale è stata sollevata da autorevoli fonti.

Marchionne: “Un’arma a doppio taglio”

Si registrano da ultimo le dichiarazioni dell’ad di Fca, Sergio Marchionne: “Le auto elettriche possono sembrare una meraviglia tecnologica, soprattutto per abbattere i livelli di emissioni nei centri urbani, ma si tratta di un’arma a doppio taglio”, perché “le emissioni di un’auto elettrica, quando l’energia è prodotta da combustibili fossili, nella migliore delle ipotesi sono equivalenti a un’auto a benzina”, rileva Marchionne, considerando che nel mondo “due terzi dell’energia elettrica derivano da fonti fossili” e che di queste il carbone rappresenta circa il 40%. Tuttavia, nei giorni scorsi, una ricerca della VUB (Libera Università di Bruxelles) commissionata dal think tank T&E (Transport & Environment) ha riaffermato l’opzione elettrica, accertando che un veicolo elettrico emette mediamente la metà di CO2 rispetto a un diesel, anche tenendo conto dell’intero ciclo di vita della vettura, che va dalla realizzazione allo smaltimento di tutti i suoi componenti.

“L’anno scorso, riguardo all’elettrificazione, ci siamo trovati di fronte a un sacco di fake news messe in giro dall’industria dei combustibili, ma in questo studio si può constatare che oggi persino in Polonia risulta più vantaggioso per l’ambiente guidare un veicolo elettrico che un diesel” dichiara Yoann Le Petit, portavoce di T&E.

Sergio Marchionne

Cruciale, in ogni caso, pare l’intervento dei governi attraverso misure di incentivo all’acquisto delle autovetture a propulsione elettrica e la disponibilità di un’efficiente rete per la ricarica. All’avanguardia la Norvegia, grazie a una politica di detassazione e di agevolazioni per gli acquirenti dell’auto elettrica, inclusivi di parcheggi e ricariche gratuite e dei permessi per la circolazione nelle aree interdette ai veicoli tradizionali a combustibile.

Anche in Francia la politica di incentivazioni è abbastanza spinta, con un bonus fiscale fino a 6.300 euro sull’acquisto dell’auto elettrica cui si aggiungono, sovente, bonus regionali.

Il ministro della Transizione ecologica Nicolas Hulot ha annunciato – fra gli altri punti del piano governativo – l’obiettivo di proibire la commercializzazione di veicoli a benzina e a diesel per il 2040, meta piuttosto ambiziosa considerando che questi veicoli hanno costituito oltre il 95% delle immatricolazioni francesi nel primo semestre di quest’anno.

Per l’Italia, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha di recente ribadito che “stiamo ragionando, nell’ambito della Sen (Strategia energetica nazionale), sulla possibilità di incentivare il passaggio alle auto elettriche e alle auto a metano e ibride”, e che si tratterà di agevolazioni “soprattutto per le famiglie che hanno redditi più bassi e macchine più vecchie”.

Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda

Prosegue intanto il progetto Eva+, coordinato da Enel insieme con vari partner (società elettrica Verbund, Smatrics, Renault, Nissan, BMW, Volkswagen, Audi) con l’obiettivo di arrivare in tre anni a 180 postazioni in Italia e ad altre 20 in Austria. Con le colonnine Fast Recharge di Enel si può fare un “pieno” di energia elettrica in 20-30 minuti a un costo compreso tra i  4 e i 7 euro a seconda del veicolo. Per raggiungere lo scopo sono stati investiti 8,5 milioni di euro, finanziati per metà dalla Ue.

2) I numeri della flotta elettrica mondiale

Fin dal titolo, Two millions and counting (“Due milioni e in crescita”), il rapporto pubblicato a giugno scorso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) metteva in chiaro che nel 2016 si è raggiunto un obiettivo simbolico importante per l’auto elettrica, superando quota due milioni di auto in circolazione a livello globale. Il risultato è ancora più impressionante se si considera che nell’anno precedente si era appena passato il milione: praticamente un raddoppio in 12 mesi.

Tradotto in termini di immatricolazioni, significa che lo scorso anno sono state oltre 750 mila, sebbene non ripartite in maniera omogenea tra i paesi. L’altro dato da sottolineare dal rapporto IEA è il superamento della Cina sugli Stati Uniti, che da sola rappresenta il 40% delle vendite 2016.

Nonostante questi numeri, la fetta dell’auto elettrica rimane comunque marginale rispetto al mercato generale dell’automotive. In Cina, Francia e Regno Unito, per esempio, le auto elettriche rappresentano l’1,5% del totale. Ci sono notevoli eccezioni. In primis, la Norvegia, dove l’auto elettrica rappresenta il 29% del mercato; seguita da Paesi Bassi (6,4%) e Svezia (3,4%).

Secondo gli analisti dell’OCSE, che hanno recentemente pubblicato l’annuale Rapporto sul settore trasporti, nonostante i numeri ancora sostanzialmente bassi, il futuro è comunque dell’auto elettrica, che nel 2040 potrebbe superare quota 150 milioni. “Sebbene ad oggi,” si può leggere nel Rapporto, “la percentuale di auto elettriche nella flotta mondiale sia ancora solamente lo 0,1%, si tratta comunque di una crescita storica. La recente crescita delle auto elettriche è il risultato di continui miglioramenti tecnologici e della spinta delle politiche a supporto”.

Fattori che potrebbero verosimilmente portare la Cina a essere un mercato enorme, con una previsione di oltre 60 milioni di veicoli elettrici nel 2040.

Come mostrato dai dati IEA, l’Europa oggi rappresenta complessivamente il secondo mercato in termini assoluti. Come già accennato, siamo di fronte a una distribuzione disomogenea. Guardando ai numeri della flotta attualmente in circolazione, provenienti dal database dello European Alternative Fuels Observatory, possiamo vedere che la Norvegia, oltre a essere il paese con la fetta più consistente di auto elettriche rispetto al totale, è anche il paese che ne ha il maggior numero in termini assoluti. I dati aggiornati a giugno del 2017 parlano di oltre 285 mila veicoli. Al secondo posto ci sono i Paesi Bassi (230 mila), seguiti dal Regno Unito (223 mila), Francia (203 mila) e Germania (185 mila).

L’Italia si trova all’undicesimo posto in questa particolare classifica con una flotta di poco più di 21 mila auto.

In termini di modelli e marchi più venduti in Europa, le classifiche da prendere in considerazione sono due. Da una parte quella che riguarda i modelli totalmente elettrici e dall’altra invece quelli delle auto ibride, benzina più elettrico. Per i primi, si parla in gergo di BEV, ovvero Battery Electric Vehicle: automobili che sono alimentate esclusivamente dal motore elettrico e che devono essere ricaricate alle colonnine apposite.

La seconda tipologia è quella delle auto ibride, che possono circolare sfruttando sia il motore a scoppio tradizionale sia l’alimentazione elettrica.

3) Le prospettive italiane

Il mercato italiano è ancora relativamente piccolo e l’auto elettrica nel 2017 rappresenta solamente lo 0,2% del totale dell’automotive.

Complessivamente la flotta è ancora un decimo (poco più di 21 mila auto contro 285 mila) rispetto a quella norvegese, ma la continua crescita delle immatricolazioni, sia per quanto riguarda le auto puramente elettriche (BEV) sia per quanto riguarda le ibride (PHEV), lascia intravedere un potenziale di crescita importante.

In termini di modelli, con alcune differenze, l’andamento rispecchia grossomodo quello degli altri mercati europei, almeno per quanto riguarda il 2017, con Nissan, BMW, Renault e Volkswagen a giocare complessivamente la parte dei leoni.

4) La rete delle ricariche

A sostenere questa crescita è stato anche l’aumento delle colonnine di ricarica, aspetto fondamentale per garantire di circolare con tranquillità sul territorio, garantendo la ricarica del mezzo durante la sosta. Dopo una situazione stazionaria dal 2012 al 2014, con 1350 punti ricarica sparsi nelle venti regioni, dal 2015 il numero è cominciato a crescere fino a raggiungere quasi 2000 colonnine. Inoltre, negli ultimi tre anni hanno fatto la loro comparsa anche stazioni High Power che garantiscono una maggior velocità di ricarica.

Per individuare le colonnine più vicine e pianificare i propri viaggi, si può consultare il sito Open Charge Map, una mappa realizzata dal basso da utenti di tutto il mondo, che identifica i punti di ricarica di tutto il mondo, avvalendosi di tutte le informazioni e le verifiche. Oltre a essere uno strumento di utilità, permette anche di vedere che la distribuzione in Italia non è omogenea. Colpisce, per esempio, la situazione della Sardegna e la differenza, attesa, tra grandi centri urbani e il resto del territorio.

5) Certezze e incognite ambientali

Il fatto che le auto elettriche non producano direttamente emissioni nocive dal tubo di scappamento non significa che non abbiano un impatto ambientale.

Come viene prodotta, infatti, l’energia elettrica con cui si alimentano le batterie dei veicoli elettrici? Se immaginiamo che quell’energia venga tutta da centrali a carbone, l’inquinamento da CO2 prodotto per la produzione dell’energia elettrica sarebbe più o meno equivalente a quello prodotto dai veicoli a motore non elettrico con emissioni basse.

Questi ultimi producono – considerando i valori dichiarati nei cicli di omologazione, che sono spesso “ottimisti” rispetto alla realtà – all’incirca 100 grammi di CO2 al chilometro. Un’auto completamente elettrica (BEV) di ultima generazione – in realtà la larga maggioranza di quelle vendute oggi sono ibride (PHEV) – ha una batteria da 41 kWh (chilowattora) che, sempre facendo riferimento ai valori dichiarati, può durare fino a 400 km.

In base a quanto riporta uno studio dell’ufficio “Scienza e Tecnologia” del Parlamento britannico, il carbone produce 1.000 g di CO2 per produrre 1 kWh: si può sostenere, quindi, che a queste condizioni anche un’auto elettrica possa produrre (anche se in modo indiretto) 100 g di CO2 al chilometro. Insomma, quanto un motore a combustibile a basse emissioni.

È però un caso assolutamente teorico. A oggi il mix energetico mondiale secondo la World Bank vede il carbone pesare solo per il 40,7% del totale. Il resto proviene da fonti nettamente meno inquinanti, come ad esempio il gas (21,6%), il nucleare (10,6%) e le fonti rinnovabili (22,2%, considerando anche l’idroelettrico).

Una centrale a carbone

Queste fonti producono molta meno CO2 rispetto al carbone: 650 g/kWh il petrolio, meno di 500 g/kWh il gas. Le rinnovabili e il nucleare non ne producono direttamente.

In Italia, inoltre, il mix è ancora meno inquinante, visto lo scarso ricorso al carbone e l’ampio utilizzo del gas naturale.

Possiamo quindi dire che l’energia che fa funzionare le elettriche viene normalmente prodotta generando, nel rapporto CO2/km, meno emissioni rispetto a quelle delle auto a combustibile.

Non c’è solo CO2

C’è una serie di altre variabili che bisogna valutare, a proposito delle emissioni. Per le auto non elettriche, ad esempio, si dovrebbero considerare anche le sostanze inquinanti prodotte dagli impianti di raffinazione e produzione del gasolio e della benzina, oltre a quelle prodotte dal trasporto dei combustibili nei vari punti di distribuzione. Si dovrebbero soprattutto considerare anche le altre emissioni, oltre alla CO2, come polveri sottili, ossido di azoto eccetera.

Per le auto elettriche, specularmente, si dovrebbe invece considerare il tasso di dispersione della rete elettrica. La quantità di energia prodotta all’origine non è, insomma, la stessa che arriva alla colonnina di ricarica delle auto elettriche. Questo perché anche i materiali isolanti conservano comunque una minima conduttività. Nell’Unione europea, ad esempio, il tasso di dispersione (dato IEA) nel 2015 è stato del 6,41%.

Gli elementi da considerare sono potenzialmente infiniti, se si vuole risalire la catena di produzione: le emissioni prodotte per la creazione dei diversi motori, elettrici e non, per la batteria, quelle per la creazione degli impianti delle rispettive filiere e via dicendo.

Cosa nasconde una batteria

Le batterie delle auto elettriche, al di là della questione emissioni, contengono materie prime potenzialmente nocive. A seconda del tipo possono contenere nichel, piombo o litio. Si pone dunque il problema dello smaltimento di questi materiali.

Tuttavia, se riciclate in modo adeguato, le batterie non generano grossi problemi all’ambiente.

Una batteria tradizionale

Ma se da un lato c’è interesse a recuperare le “terre rare” che sono contenute nelle batterie (materiali preziosi sempre più difficili da reperire in natura), dall’altro per diversi materiali – in particolare il litio – è, ad oggi, meno conveniente riciclarli che acquistarli sul mercato.

L’Unione europea ha varato una normativa in materia di smaltimento delle batterie, la direttiva 2006/66/CE (recepita in Italia col D.Lgs. n. 188/2008), per promuovere un elevato livello di raccolta e di riciclaggio. Il provvedimento ha fissato precisi obiettivi sulle percentuali di riciclaggio che devono essere ottenuti attraverso le diverse metodologie di processo di riciclo dedicati ai diversi tipi di famiglie di batterie esauste.

La pericolosità, soprattutto nel futuro, che deriva dallo smaltimento delle batterie elettriche sembra insomma dipendere soprattutto dalla capacità degli Stati di varare e far rispettare stringenti normative a tutela dell’ambiente, più che non dalle tecnologie stesse.

La ricarica di un veicolo elettrico

Di certo si può dire che anche le auto elettriche producano indirettamente emissioni. Meno, sembra emergere dal confronto, rispetto a quelle prodotte dalle auto non elettriche (che pongono anche il problema delle altre emissioni oltre alla CO2, come poveri sottili, ossidi di azoto etc.).

Oltretutto, migliorando il mix energetico globale con un maggior ricorso a fonti meno inquinanti del carbone, la prospettiva è che il confronto diventi sempre più favorevole per le auto elettriche.

 

Source: www.agi.it

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