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Gender Gap come dato oggettivo

8 maggio 2017

Grazie al World Economic Forum, a partire dal 2006, il Gender Gap è diventato un dato oggettivo. Vale a dire che a partire da quella data esiste un report, che viene stilato ogni anno, e che mostra la portata del divario di genere in tutto il mondo. La disparità viene studiata paese per paese ed è indicata da un numero, un indice, che si ottiene analizzando il modo in cui si manifesta in diversi ambiti della vita di quel paese: economico, politico, educativo, sanitario e via dicendo.

L’equità salariale ad esempio è uno degli elementi più rilevanti non solo per la misurazione oggettiva del gender gap ma anche per il modo in cui noi lo avvertiamo. Il fatto che le donne e gli uomini, a parità di ruoli, vengano pagati diversamente è un problema che per fortuna abbiamo iniziato ad avvertire come ingiustizia già da un po’ di tempo, per il quale ci battiamo, lanciamo diverse iniziative e riusciamo anche a ottenere alcuni risultati importanti. Importanti non solo perché è giusto che le donne guadagnino quanto gli uomini, ma anche perché attraverso questa forma di equità si contribuisce a sradicare il pregiudizio su cui si fonda: la standardizzazione dei ruoli basata sul genere, quella secondo cui la donna sa fare bene solo due cose, cioè occuparsi della casa e dei figli, mentre l’uomo è l’unico in grado di lavorare e di badare al sostentamento economico della famiglia.
A mano a mano che il gender gap diminuisce e che si iniziano a riconoscere alle donne opportunità lavorative simili a quelle degli uomini emerge però una dinamica un po’ contorta, che svela a sua volta quanto sia concretamente difficile e graduale modificare dei ruoli sociali ben consolidati. Sto parlando della dinamica per cui sono le stesse donne, alle volte, a sentirsi a disagio se guadagnano più dei loro compagni o se sono le uniche, all’interno della coppia a lavorare. Perché, in fondo, quella storia per cui è l’uomo che deve essere il capofamiglia, fa talmente tanto parte della nostra cultura comune che abbiamo finito per assimilarla, e anche se non ci crediamo e la troviamo sbagliata, le permettiamo ancora di ingannarci.

Basta googlare la frase “guadagno più di mio marito” e dare un’occhiata ai risultati che escono,tra articoli e forum, per capire di cosa sto parlando. Guadagno più di mio marito. È un problema? (titolo di un articolo apparso qualche settimana fa su Vanity Fair); Separarsi da mio marito perché guadagno di più (questione posta su un forum); Quando lei guadagna più di lui (articolo di Panorama). Basta dare un’occhiata a questi risultati – dicevo – per capire quanto ancora la possibilità che una donna sostenga economicamente la propria famiglia sia considerata problematica. 

Facciamo un altro esempio: gli Stati Uniti sono paese in cui le donne mediamente guadagnano ancora il 20% in meno degli uomini. Per quanto non indicativo di un livellamento degli stipendi, il fatto che nel 2015 il numero delle donne che guadagnano più dei loro compagni, sia salito, raggiungendo il 38%, avrebbe dovuto essere comunque accolto, a rigor di logica, come un dato positivo, sintomo di un cambiamento di prospettive. Ma così non è stato. Molte delle donne che appartengono a questa percentuale non vivono bene la loro condizione di “capofamiglia”.
Ashley Ford ha analizzato questo fenomeno in un interessante articolo uscito pochi giorni fa su Refinery29, e l’ha fatto partendo da una constatazione personale. Lei stessa è una di quelle donne, infatti. È per il suo lavoro che lei e il suo fidanzato, oggi, vivono a New York: lui ha accettato di trasferirsi per seguirla e lei ora guadagna il 70% in più di lui all’anno. Le frasi che si sente dire di continuo sono:

  • Non potrei mai stare con un uomo meno ambizioso di me.
  • Onestamente penso che sia dovere dell’uomo prendersi cura della sua compagna.
  • Pensa se vi sposate e divorziate e poi finisce che sei tu – e non lui a dovergli pagare gli alimenti, come è successo a Mary J. Blige con il suo ex marito.

Queste frasi sono indicative del feedback culturale che le donne che guadagnano più dei loro fidanzati o mariti ricevono dall’esterno: gli uomini dovrebbero guadagnare di più per provvedere alla famiglia, e se non lo fanno allora vuol dire che c’è un problema. Un feedback, questo, che secondo Ashley Ford, produce un sottile (ma neanche troppo) effetto emotivo e psicologico: le donne si sentono in colpa e gli uomini si sentono demascolinizzati, un mix che di certo non aiuta la relazione di coppia, aumentando il rischio di divorzio.
I dati prodotti da uno studio svolto dall’Università di Chicago non fanno che confermare questa ipotesi: dimostrano infatti che il problema non è neanche quanto una donna guadagna più di uomo, basta che ci sia una piccola differenza salariale, per creare tensioni nella coppia. Secondo questo studio il semplice fatto che una donna guadagni, anche per un solo anno, 5.000$ in più del suo compagno, è associato a un maggiore rischio di divorzio.

Ma se mettessimo tra parentesi le pressioni sociali e provassimo a capire, nel loro intimo, cosa pensano queste donne, che cosa risulterebbe?
Risulterebbe che in realtà per loro il fatto di guadagnare più dei loro mariti non sarebbe un grande problema, non in termini di ruoli. L’aspetto problematico, quello cioè di cui ci lamentano maggiormente, è relativo allo stress e alla stanchezza che deriva dal sobbarcarsi il sostentamento economico della famiglia, in un contesto in cui, peraltro, i costi crescono in continuazione. È come se non riuscissero mai a fermarsi.

Di per sé però le donne intervistate da Ashley Ford spiegano che per loro non è importante chi porti a casa la pagnotta: l’importante è che ci sia. E, ancora, sono molto chiare e unite nell’affermare che, una volta risolto il problema fondamentale di come mantenere la famiglia, a loro non interessa avere dei mariti che fanno un lavoro che li rende frustrati, per il solo gusto di poter dire che lavorano.

Quello che le donne preferirebbero in assoluto è che fosse possibile una suddivisione equa delle responsabilità. Che entrambi all’interno della coppia potessero lavorare e prendersi cura dei figli e della casa, anche perché è di questo che si parla quando si parla di parità. Laddove però le condizioni non lo dovessero rendere possibile, visto che avere sulle spalle il mantenimento di un’intera famiglia da soli è pesante per tutti, sarebbe bello lavorare per smorzare le pressioni sociali rivolte alle donne che si assumono questa responsabilità.

Per farlo potremmo iniziare sentendoci meno in colpa quando ci capita di guadagnare di più.
Anche perché, sempre i dati, dicono che la maggior parte delle donne che portano a casa la pagnotta non pensa affatto che i loro compagni si sentano demascolinizzati. Se quindi questa cosa non crea problemi né agli uomini né alle donne della coppia che diritto ha la società di crearne dall’esterno? 

 

Source: freedamedia.it

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