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I Giudizi che Diamo Sulle Altre Donne

I Giudizi che Diamo Sulle Altre Donne
27 settembre 2018

Se non vi è mai capitata sotto gli occhi una foto che ritrae quella che è stata ribattezzata la resting bitch face (traducibile per noi in faccia da stronza), utilizzata magari scherzando da un’amica per descrivere il suo stato d’animo, è possibile però che si conosca bene l’atteggiamento ostile che ogni tanto alcune donne riservano al mondo – e in particolare ad altre donne.

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L’abbiamo potuto vedere in molti film e forse l’abbiamo anche provato sulla nostra pelle. Negli Stati Uniti questo atteggiamento in particolare viene chiamato bitchiness, dal termine bitch, che noi potremmo tradurre con il termine stronzaggine. E non è semplicemente un modo di dire popolare, ma è la descrizione di un atteggiamento che ha il suo corrispettivo clinico nel termine aggressione indiretta”, ovvero il modo in cui alcuni studiosi hanno definito un tipo di aggressività di chi non vuole compromettersi con un giudizio esplicito – che molto spesso interessa le donne. 

Tracy Vaillancourt, psicologa presso la University of Ottawa, ha voluto studiare proprio questa tendenza delle donne a bullizzare altre donne che vengono considerate promiscue. Lo studio che ha condotto assieme a una sua dottoranda, Aanchal Sharma, presso la McMaster University, ha coinvolto 86 donne eterosessuali, tra amiche e sconosciute, divise in due gruppi uguali. L’esperimento consisteva nell’osservare le reazioni del gruppo all’ingresso nella sala di una donna attraente, che avrebbe interrotto la presentazione della ricercatrice: la donna sarebbe stata la stessa per entrambi i gruppi, ma vestita in maniera diversa. Per il primo gruppo è entrata nei panni della complice conservatrice – come è stata definita dai ricercatori –  con i capelli legati in uno chignon e vestita con una maglietta blu e dei pantaloni lunghi color cachi. Al secondo gruppo invece, si è presentata come “la complice sexy”, indossando minigonna, stivali e portando i capelli sciolti.

Una volta uscita dalla stanza, le ricercatrici hanno osservato le reazioni dei due gruppi e come criterio per definire i comportamento delle donne in sala, hanno usato quello della bitchiness. Perché usare un termine del genere? Questa la risposta di Tracy:

Bitchiness è il termine che usano le persone. Se chiedi a qualcuno di descrivere un comportamento del genere ti risponderebbe “da stronza”.

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Tra i segnali osservati delle donne presenti, ci sono gli sguardi dall’alto al basso, risate sarcastiche e occhi sgranati. E quello che è risultato dalla ricerca è che la donna sexy entrata nella sala non avrebbe avuto vita facile a trovare un’amica nel gruppo: le donne erano decisamente più bitchy (stronze) con la complice sexy che con quella conservatrice e hanno espresso giudizi negativi molto più con le amiche che con le sconosciute. La modalità usata è proprio quella del commento non diretto – quindi occhiate, risate e commenti sussurrati – utilizzato per non essere scoperte o per potersi facilmente giustificare con il fatto che “stavano solo scherzando”. In un’altra ricerca, gli psicologi Roy Baumeister e Jean Twenge hanno osservato che le donne tramite questo comportamento tendono a soffocare maggiormente la reciproca sessualità.

Le evidenze favoriscono la visione per cui le donne hanno lavorato per soffocare la reciproca sessualità perché il sesso è una risorsa limitata che le donne usano per negoziare con gli uomini e la scarsità dà alle donne un vantaggio.

Certo, si può obiettare che nella circostanza dell’incontro universitario, la donna vestita in modo sexy appariva comunque fuori luogo e poteva alimentare più facilmente commenti negativi. Per questo, Tracy ha fatto un altro esperimento: ha mostrato alle partecipanti tre fotografie e ha chiesto loro di scegliere la ragazza con cui avrebbero stretto amicizia più volentieri o che avrebbero potuto presentare – se fidanzate – al loro ragazzo, lasciandola del tempo da sola con lui. Le immagine proposte rappresentavano la stessa donna vestita in tre modi diversi: nelle prime due foto, si presentava come descritto in precedenza – in maniera “conservatrice” e “sexy”; nella terza immagine, invece, appariva vestita in maniera sexy ma la sua figura era stata alterata digitalmente in modo da sembrare in sovrappeso.

La risposta è stata “no” a tutte le domande per entrambe le donne vestite in modo sexy, mentre erano tre volte più convinte a presentare al proprio fidanzato alla versione conservatrice. Per questo, Tracy ha potuto concludere che il suo esperimento ha mostrato come le donne si sentano minacciate dalle donne che appaiono o agiscono in modo promiscuo, al di là del loro peso, e che tendono a “punirle” con un atteggiamento ostile.

Pur rappresentando un piccolo esempio, Tracy ha condotto uno dei primi studi sullo slut-shaming ovvero quel modo di considerare una donna colpevole o inferiore per determinati atteggiamenti, per il modo di vestire o per i suoi desideri sessuali; ma ci sono molti altri studi che hanno cercato di portare in evidenza questo comportamento. Una ricerca del 1990, ad esempio, condotta dallo psicologo David Buss della Università del Texas, ha mostrato come le donne fossero più inclini a denigrare o insultare le proprie rivali in amore, in due modi: alimentando il gossip sulla propria rivale ritraendola come una donna facile, che ha avuto molti uomini (che chiama slut- factor) oppure parlandone in termini di bruttezza, grassezza e cattivo gusto nel vestire. Ma perché succede?

Nel suo libro Evoluzione del desiderio – Comportamenti sessuali e strategie di coppia Buss sostiene che sia una questione relativa all’evoluzione: le donne che hanno sesso occasionale vengono considerate come minacciose per gli obiettivi di quelle che invece cercano relazioni a lungo termine – nella misura in cui incoraggiano gli uomini a non impegnarsi in una relazione stabile.

Ma secondo altre ricerche, grande parte della problema riguarda un certo bagaglio culturale che ci portiamo dietro. Di questa opinione è Agustin Fuentes, del dipartimento di antropologia della University of Notre Dame:

Nella nostra società, se ci è dato scegliere tra queste immagini, risponderesti “Non voglio che il mio ragazzo si sieda vicino a una ragazza con la minigonna”. Ma questo non è perché, parlando in termini di evoluzione, è più facile che il tuo ragazzo ti tradisca con una ragazza con la gonna corta.

Secondo lo studioso la questione è culturale, di come le donne sono abituate a percepirsi tramite alcune strutture sociali, molto radicate e difficili da cambiare. Ma secondo Tracy, più si diventa consapevoli di quanto siano presenti questi meccanismi, più possiamo cercare di evitarli.

Studi hanno mostrato che se si cambia la propria cognizione del problema, si può cambiare questo comportamento – che causa dolore e depressione.

Fuori dal contesto scientifico, anche nell’analisi di Chimamanda Ngozi Adichie nella celebre conferenza TED Dovremmo essere tutti femministi – diventata poi un libro – viene evidenziata questa rivalità tra donne, che si gioca per ottenere le attenzioni degli uomini:

Cresciamo le ragazze per guardare alle altre come concorrenti, non per lavoro, o per degli obiettivi – che credo possa essere una buona cosa – ma per l’attenzione degli uomini. Insegniamo alle ragazze che non possono vivere la sessualità nel modo in cui lo fanno i ragazzi.

E la stessa autrice prova ad aprire la strada a un possibile cambiamento, che può cominciare dal modo con cui ci rapportiamo tra donne – con l’essere più solidali e inclusive tra di noi. E soprattutto, cominciando a istruire in questo senso le generazioni future.

Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegnamo ai nostri figli.

Source: freedamedia.it

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