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Incontro con la «pescatrice di vite perdute»

10 giugno 2017

di Angela Giannitrapani

Due scatti di Angela Giannitrapani sull’incontro con Maria Rosa Cutrufelli, coordinato da Vittoria Longoni, alla Casa delle donne di Milano. A dialogare con la scrittrice anche Laura Lepetit, fondatrice della casa editrice “La Tartaruga”

Avevo diciotto anni ed ero affamata di storie. Ma non di storie qualsiasi.

A quel tempo, verso la fine degli anni Sessanta, noi ragazze si viveva in una specie di vuoto. Ben pochi, allora, erano i libri che si preoccupavano di testimoniare, documentare o addirittura provare la nostra esistenza nella Storia. A un certo punto però, (difficile stabilire esattamente «quando») cominciammo a stufarci di questa faccenda, cioè di non possedere un passato. Anche se, in compenso, proprio la Storia – qualcuno preferiva parlare di Natura – ci aveva rifornito di un bel piedistallo su cui troneggiare: la famosa  «femminilità». Ma qui si apriva una contraddizione. Perché, Storia o Natura, il fatto è che ciascuna di noi, pur essendo in modo incontestabile una singola entità, si trovava poi a far parte di un insieme, una specie di splendido e ancestrale organismo collettivo chiamato appunto «La Donna». Poesie, canzoni, film, romanzi… Chi mai poteva sostenere che quella «Donna» vivesse in un vuoto? Quante, ma quante opere dedicate a Lei, ispirate da Lei, che ragionavano di Lei, che la svelavano a se stessa! Che altro c’era da aggiungere a tutto quel ben di Dio?

Mi sentivo un po’ confusa. Non sapevo che pensare. Però, sicuramente qualcosa non tornava: avevo l’impressione che il mito della «Donna» non corrispondesse affatto alla vita e all’esperienza delle «donne». Pensa e ripensa, giunsi alla conclusione che quel magnifico singolare era in realtà un dono avvelenato, capace di annullare con il suo peso le nostre varie e «plurali» esistenze. E allora, poiché non volevo più vivere immersa in una femminilità senza tempo, senza volto e senza voce propria, cominciai a cercare, nella Storia, le storie. Divenni una «pescatrice di vite perdute». Così scrive Don De Lillo in quella meraviglia di romanzo che è Underworld: «le donne sono pescatrici di vite perdute».[…]Noi, ragazze di fine anni Sessanta, all’improvviso o forse no, in qualche maniera, non so come, diventammo crocerossine di noi stesse. E, di conseguenza, pescatrici di vite perdute.

Insomma, ce la mettemmo tutta per ripescare quelle donne che ci avevano preceduto nel tempo e ci avevano lasciato un’invisibile eredità di parole, di sogni, di gesti significativi.

Questo dice Maria Rosa Cutrufelli nella Postfazione al suo romanzo La donna che visse per un sogno, nel quale narra gli ultimi mesi di vita di Olympe de Gouges. De Gouges è l’autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) e ghigliottinata a causa delle sue idee nel novembre del 1793.

Negli anni la Cutrufelli ne ha pescate di vite che, mi permetto di precisare, non erano perdute, non del tutto. Certo, rischiavano di esserlo se tante scrittrici e saggiste non le avessero ripescate nella rete delle loro parole. “Le parole sopravvivono al sangue che sporca anche le Rivoluzioni. Non è il sangue, sono le parole a spezzare la catena del destino e a introdurre la speranza nella Storia”, continua la scrittrice, riferendo il pensiero della de Gouges. Quale arma salvifica hanno allora le donne se non la parola parlata e scritta? Per strappare tutte quelle donne-ombra che le hanno precedute ma che, a ben vedere, hanno lasciato tracce, rigagnoli, gocce di sangue perché noi oggi le ritrovassimo. Così, Olympe de Gouges, le dieci “maestrine” marchigiane che chiesero il diritto di voto nel 1906, i bambini testimoni della tragedia di Portella della Ginestra e altre diventano personagge. Le donne in carne e ossa sepolte in una Storia negata, rivivono sulla carta. Cutrufelli le vede, dapprima le prende tra indice e pollice, poi le rigira osservandole con l’attenzione di un’archeologa, indaga, si documenta sulla loro vita terrena, sulle persone con le quali sono venute in contatto, sul luogo nel quale hanno camminato, l’aria che hanno respirato. Poi, le attraversa, penetrandole nel pensiero, nello spirito, nelle passioni, nelle piccole fobie. Ne spreme il succo e lo distilla in parole, passandolo a chi legge come sua personale offerta. Ma nella rete in cui ha ripescato le anime perdute, impigliate ma chiarissime, rimangono anche tracce di lei stessa nella tensione dell’indagine, nel calore dell’empatia e dell’inevitabile innamoramento.

Non saprei come sintetizzare in altro modo l’incontro avvenuto il 30 maggio alla Casa delle Donne di Milano, dove Maria Rosa Cutrufelli si è generosamente esposta per più di due ore al pubblico di amiche, compagne di lavoro e sconosciute che l’hanno sommersa di domande e di interesse. Lei si è spesa con la serena lentezza del suo dire e con l’intensità del pensiero. Ha soddisfatto le tante curiosità sulla costruzione dei suoi romanzi a più voci e sulla fisionomia delle sue personagge, neologismo che non vuole essere una mera e polemica coniugazione al femminile del sostantivo personaggio, ma la scelta di donne di carta ispirate a quelle inusuali, che rompono il prevedibile, che sono state al mondo allargandosi in ruoli non conformi, scompaginando un pezzo di Storia ufficiale.


Source: https://donnedellarealta.wordpress.com

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