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In Italia antieuropeismo delle parole, in Europa antiitalianismo dei fatti

In Italia antieuropeismo delle parole, in Europa antiitalianismo dei fatti
1 giugno 2018

Nella crisi politica che ha scosso l’Italia in queste settimane, anzi in questi mesi, un ruolo importante hanno avuto le voci dall’estero. Non sempre opportune, non sempre corrette e quasi mai rispettose nei confronti del nostro paese. Un coro stonato a fare da controcanto al chiasso nei corridoi dei palazzi del potere romano. Voci autorevoli, peraltro, che hanno provato a incidere, a orientare, a correggere le scelte dei partiti, delle alte cariche istituzionali e dell’opinione pubblica. Il presidente della Commissione europea, di fatto il governo dell’Unione, Jean Claude Junker, il commissario al Bilancio, una sorta di ministro dell’Europa, Gunther Oettinger, e poi articoli e vignette dei giornali, soprattutto tedeschi, a insultare, a ironizzare, a sfottere.

Diciamo la verità: forse qualche ministro in pectore non ama l’Europa, ma certamente l’Europa non ama l’Italia. Non può essere un caso che ogni volta che il nostro paese sia al centro di questioni di particolare peso, che hanno magari un riflesso sulle nostre relazioni internazionali, da oltre confine ci arrivino mazzate di questo genere. E sarebbe ingiusto, scorretto e poco credibile darne la colpa al governo gialloverde che sta per vedere la luce. Che può essere confuso nella genesi, confusionario nei programmi e negli obiettivi, ma ancora non ha fatto nulla per provocare queste reazioni così dure e aspre: “Italiani corrotti”, ha detto Junker, “I mercati insegneranno agli italiani a votare bene”, la frase attribuita, ma poi corretta, al commissario Oettinger, che seguirono il titolo sugli “Italiani scrocconi” del Der Spiegel o la vignetta sul pericolo italiano della Frankfurter allgemeine zeitung. Esternazioni che hanno esacerbato gli animi degli italiani che identificano l’Europa con la moneta unica, l’Euro, che molti (non soltanto il ministro Savona) vorrebbero lasciare per tornare alla lira, o con la Germania, odiata da questa parte delle Alpi oggi come non mai.

Certamente, all’estero abbiamo esportato un’immagine non sempre lineare, cristallina, adeguatamente seria. Nella memoria di tutti ci sono le battute, le corna, le sguaiatezze di Silvio Berlusconi, che riteneva di essere un simpaticone apprezzato dagli altri leader, magari tranne Martin Schultz, il socialdemocratico tedesco accusato di essere un kapò; oppure le performance di Matteo Renzi, un altro personaggio che oltre confine diventava una specie di maschera del teatro dell’arte. Insomma, da tempo gli italiani siamo, per i nostri “fratelli europei” dei cialtroni simpatici ma inaffidabili, pericolosi se non presi e accompagnati per mano verso il nostro bene, di cui siamo inconsapevoli. Si dirà: gli scandali, la corruzione, la malapolitica di casa nostra alimentano queste opinioni. Ma, mentre potremmo stilare una nuova bibbia coi nomi dei governanti francesi, tedeschi, dei funzionari degli enti europei o mondiali arrestati o al centro di scandali, bisogna ricordare che questa antipatia verso l’Italia, questa antiitalianità mai dichiarata si concretizza, poi, in atti e provvedimenti. Come lo scippo della sede dell’Ema, l’European medicines agency, l’agenzia europea per i medicinali che Amsterdam ha scippato a Milano. La metropoli lombarda aveva già una sede pronta, l’ex Pirellone, e gli olandesi no. Però, hanno vinto perché l’Italia è stata isolata. E non è la prima volta. Perché noi, magari, possiamo far ridere l’Europa, ma l’Europa ci fa piangere.

Lauricina Stanislao

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