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La famiglia Barilla, la lotta allo spreco energetico a la sorprendente fabbrica dei sughi

10 agosto 2017

Preconcetto: opinione che, non essendo sostenuta dall’esperienza, può costituire un serio ostacolo alla formulazione di un giudizio appropriato”. Quotidianamente ci troviamo a dover affrontare ogni sorta di preconcetto: in ambito politico, economico, sociale, relazionale, razziale; al sottoscritto da una vita capita di sentirsi dire “sei arrivato in anticipo pur essendo napoletano”. Insomma, questo errato modo di pensare è divenuto purtroppo estremamente diffuso: determiniamo il nostro punto di vista su qualunque cosa pur non avendo a disposizione elementi sufficienti per poterlo fare, basandoci spesso su voci prive di fondamento.

Da quando la scrittura è diventata il mio lavoro principale, passo la maggior parte del tempo a svolgere un lavoro di ricerca fondamentale per la credibilità di un articolo. Nel mondo del cibo, ad ogni livello, dal piccolo artigiano alla multinazionale, il miglior modo per capire cosa c’è dietro un marchio, un logo, un brand, è recarsi in loco per poter vedere da vicino, con i propri occhi, quali scelte ci sono dietro la creazione di un prodotto.

A prescindere dal tipo e dalla frequenza del consumo che facciamo dei suoi prodotti, Barilla è un marchio che fa parte della nostra vita: l’inconfondibile colore della confezione della pasta, i biscotti del Mulino Bianco, ma soprattutto gli spot televisivi girati dai più grandi registi cinematografici per arrivare al jingle che più o meno tutti abbiamo imparato ad eseguire negli anni di scuola con il flauto o la Diamonica (ricordate quella piccola tastiera a fiato portatrice sana di germi?).

Il press tour organizzato in occasione dei 140 anni di Barilla mi ha permesso di tornare a Parma per scoprire nuovi angoli della città e naturalmente nuovi indirizzi in ambito enogastronomico per godere ancora una volta di sapori autentici; di ammirare il fascino del Teatro Regio; visitare uno stabilimento dalle incredibili dimensioni e soprattutto dalle sorprendenti soluzioni tecnologiche (i carrelli robot che gestiscono il magazzino sono un orgoglio tutto italiano). Ho ascoltato dalla voce dei fratelli Barilla e dei componenti delle varie aree aziendali lo stato dell’arte su tutto ciò che concerne la riduzione dello spreco energetico e di risorse, il costante lavoro di ricerca per rendere più efficienti i processi industriali, ho letto numeri a supporto delle iniziative, ho apprezzato l’impegno anche economico per fare in modo che Barilla possa diventare un’azienda sostenibile.

Ma un momento di questa due giorni mi è rimasto particolarmente impresso. Un momento che mi ha fatto capire come tutti noi possiamo avere convinzioni errate su determinate cose. Prima di cimentarmi con la scrittura ho passato parecchio tempo ai fornelli, corso da chef compreso, e da sempre i sughi pronti hanno rappresentato per me una sorta di “scorciatoia” gastronomica adatta a chi ha un pessimo palato o poca voglia di cimentarsi in cucina. Sommateci la convinzione relativa all’utilizzo di materie prime di scarsa qualità, e la demonizzazione del sugo è fatta. Poi però entri nello stabilimento, osservi la tecnologia a disposizione, la competenza di responsabili ed operai ma soprattutto l’attenzione messa in ogni singolo passaggio della catena produttiva: dall’acquisizione delle materie prime (ad esempio il basilico che arriva fresco ogni mattina dai campi degli agricoltori che collaborano con Barilla) alla loro lavorazione (cottura a vapore, conservazione in abbattitore), per proseguire con l’elaborazione della ricetta, grazie ad altri prodotti selezionati. Quindi le delicate fasi di sterilizzazione, pastorizzazione, il travaso nei barattoli e gli infiniti controlli sulla presenza di eventuali anomalie, dal vetro curvo o scheggiato alla presenza di bolle d’aria, dal colore sospetto al sottovuoto non perfettamente riuscito.

Come eliminare anni di errate convinzioni e “credenze popolari” in poco più di 30 minuti. In un’epoca strana, condizionata dall’effetto distorsivo dei social, molto spesso per ignoranza, invidia o malcostume, si creano leggende con il solo scopo di demonizzare marchi industriali. In molti casi, basterebbe avere l’opportunità di vedere con i propri occhi cosa accade negli stabilimenti, capire la filosofia aziendale, scoprire la rinnovata passione degli attori in gioco, per capire che intorno a noi c’è molta più qualità di quanto si possa pensare.

 

Source: www.ifood.it

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