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La storia del video virale che fa ridere e riflettere sui pregiudizi

16 marzo 2017

Sabato mattina Robert E. Kelly, che insegna relazioni internazionali alla Pusan National University, in Corea del Sud, aveva in programma di intervenire in diretta alla BBC, per parlare dell’impeachment della presidente sud coreana, Park Geun-hye.

Solo che, Robert E. Kelly, in Corea del Sud, non ci insegna e basta, ma lì vive, è sposato e ha una famiglia. Così, il suo, più che un intervento in diretta, doveva essere un collegamento Skype. Sapendolo, Robert si è preparato, come tutti noi avremmo fatto nella stessa situazione: si è messo tranquillo in una stanza, porta chiusa e computer acceso, pronto per il suo intervento.

Piccolo problema: si è dimenticato di chiudere la porta a chiave. Risultato: proprio mentre stava parlando, a un certo punto, la porta della stanza in cui si trovava si è aperta ed è entrata, con una camminata molto buffa e un vistoso maglione giallo, la sua bimba più grande. Pochi secondi dopo la bambina viene seguita dal fratellino più piccolo, che fa la sua entrata in scena muovendosi con un girello. Il giornalista presentatore di BBC lo avvisa, ma Robert rimane impassibile e super composto.

Sorride pochissimo e chiede timidamente scusa, senza muoversi.

Già a questo punto la scena avrebbe avuto tutti gli ingredienti per diventare virale. Quando l’ho vista ho pensato subito: non so cosa mi faccia più ridere, se la bambina grande che entra saltellando o il bambino più piccolo che viaggia per casa con il girello. Ma non è finita qui, perché proprio quando pensi “va be’, dai, tutto quello che poteva succedere è già successo”, improvvisamente una donna si precipita nella stanza, quasi slittando sul pavimento, afferrando i due bambini per le braccia e portandoseli via.

Molti di voi, probabilmente, avranno già visto questo video, perché, come era prevedibile, è diventato subito virale. Personalmente ho passato metà della mia giornata di sabato a guardarlo e a ridere, nella speranza che a un certo punto l’effetto comico si affievolisse, e invece niente.

Alla fine ho stabilito che la cosa più divertente era il bambino con il girello, perché è l’elemento più inaspettato di tutti.

Quando qualcosa diventa virale, però, non vuol dire solo che tutti l’hanno vista almeno una volta, ma vuol dire anche che già due minuti dopo l’accaduto, qualcuno inizia a specularci sopra, a fornire libere interpretazione della scena, dei caratteri delle persone coinvolte, dei ruoli.

C’è stato, ad esempio, chi ha sostenuto che Robert E. Kelly non si fosse mosso dalla sedia perché in realtà era in pigiama, se non addirittura in mutande (questa fa ridere). E, soprattutto, c’è stato chi – e sono in molti, alcuni dei quali sono testate giornalistiche come il Time – ha pensato, detto o scritto che la donna che entra a recuperare i bambini era una ragazza alla pari, una baby sitter, la dipendente del professore e di una sua ipotetica moglie.

Non una baby sitter qualunque, ma, data la preoccupazione che si nota sulla sua faccia quando entra nella stanza, una baby sitter terrorizzata dalla reazione che poi avrebbe potuto avere il suo datore di lavoro. In molti, come ha notato Jessica Roy su articolo del Los Angeles Times, su Twitter e Facebook, hanno chiesto che qualcuno aiutasse la donna.

Queste persone, però, si sono sbagliate: la donna del video, infatti, si chiama Jung-a Kim, e non è la baby sitter, ma la moglie di Robert E.

Kelly. Lo dico subito: io sono una delle persone che ha pensato che Jung-a Kim fosse la tata dei bambini. L’ipotesi che potesse essere la madre all’inizio non mi ha sfiorato. E dato che sono una persona a cui non piacciono gli stereotipi e che, tendenzialmente, cerca di stare attenta a non inciamparci, questa cosa mi è dispiaciuta moltissimo, ma al tempo stesso mi ha fatto capire che questo video virale può essere considerato anche come un piccolo esperimento sociale, appunto, sui pregiudizi.

Soprattutto per chi non stava seguendo l’intervento di Robert E. Kelly in diretta, ma ha visto solo in un secondo momento il frammento di pochi secondi in cui entrano i bambini, la scena che si presenta ha una caratteristica precisa: svolgendosi interamente all’interno di una stanza, potrebbe essere accaduta ovunque, in qualsiasi parte del mondo.

E, istintivamente, a noi viene da pensare che quella stanza non sia in Corea del Sud, ma essendo il video tratto da un collegamento BBC, pensiamo che sia in occidente, magari in Inghilterra. E, di conseguenza, ragioniamo sulla base di uno stereotipo negativo e razzista, perché, come ha dett Phil You – che si interessa di discriminazioni nei confronti degli asiatici –  al Los Angeles Times, nell’immaginario collettivo occidentale le donne orientali sono viste come servili, passive e ricoprono ruoli di servizio.

Ieri, 14 marzo, Robert E. Kelly, la moglie Jung-a Kim e i suoi due figli, Marion e James, sono apparsi nuovamente in collegamento Skype alla BBC, per rilasciare una breve intervista su quanto è accaduto.

Robert ha raccontato che quel giorno sua figlia Marion era particolarmente felice perché era il suo compleanno e di lì a poco ci sarebbe stata una festa.Ha detto di essersi accorto subito, dallo schermo di piccolo di Skype, che la bambina stava entrando nella stanza, ma di non essersi alzato, non perché era in mutande (indossava dei jeans, dice) bensì perché pensava di riuscire a farla uscire dall’inquadratura. La moglie invece ha raccontato che stava seguendo l’intervista del marito da un’altra stanza, e, per via del ritardo nella diretta, di essersi accorta con qualche secondo di ritardo di quello che stava succedendo: ecco perché ci ha messo un po’ a intervenire. Robert E. Kelly ha detto che, nonostante avesse capito fin da subito che la scena faceva ridere, la sua principale preoccupazione è stata di aver combinato un danno lavorativo e di non essere più richiamato dalla BBC.

Jung-a Kim ha parlato anche dello stereotipo di cui è stata vittima e l’ha commentato così: “vorrei che la gente ridesse per questo video e non che discutesse [su chi sia io, se la madre o la tata ndr]. Perché il punto è che io non sono la baby sitter, questa è la verità e quindi spero che la smettano di parlarne”. E quindi, va bene, smettiamo di discutere sulla sua identità, ma ragioniamo sui dubbi, anzi la certezza sbagliata, che abbiamo avuto in tanti fin dall’inizio, perché è solo in questo modo che si sradicano gli stereotipi: capendo da dove nascono.

 

Source: freedamedia.it

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