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La storia di Google e del documento sessista

25 agosto 2017

Da diversi anni si torna ciclicamente a parlare del sessismo e della misoginia che caratterizzano le grandi aziende della Silicon Valley: le donne sono di meno, vengono pagate meno, subiscono trattamenti prevaricatori e richieste che minano fortemente la loro libertà di scelta. Nel 2014, ad esempio, aveva fatto ragionevolmente discutere la proposta di grandi del tech, come Apple e Facebook, che avevano dato alle loro dipendenti la possibilità di congelare i propri ovuli per evitare che la gravidanza creasse intoppi al loro lavoro. A febbraio di quest’anno la BBC analizzava il problema in un articolo intitolato Does Silicon Valley have a sexism problem? Sempre quest’anno una ex dipendente di Uber aveva denunciato le molestie e le discriminazioni subite durante il suo anno di lavoro per l’azienda, portando all’apertura di un’indagine che ha a sua volta portato a diversi licenziamento.  Un mese fa, invece, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo, con le storie dettagliate, i volti e i nomi delle giovani imprenditrici della Silicon Valley che hanno subito molestie o abusi sul posto di lavoro.

Da un po’ di tempo Google è stata indagata ufficialmente dal Dipartimento del Lavoro statunitense (DoL), con l’accusa di attuare una “sistematica discriminazione salariale.” Per cercare di restringere il campo degli attacchi e delle indagini Google, come anche altre aziende del settore, ha iniziato ad attuare una serie di politiche interne volte teoricamente a incentivare l’assunzione di dipendenti appartenenti a minoranze etniche e di donne con ruoli manageriali. È proprio per contrastare questi sforzi che ha iniziato a circolare tra i dipendenti dell’azienda il documento sessista di cui si sta parlando molto negli ultimi giorni, che ha portato al licenziamento di un senior software engineer di nome James Damore. Ma partiamo dall’inizio.

Qualche giorno fa James Damore ha redatto un documento di dieci pagine, a sostegno di una tesi ben precisa: non è per sessismo o pregiudizi culturali che le donne vengono pagate di meno, ma per ragioni biologiche precise che le rendono meno adatte a ricoprire ruoli di potere. Scrive infatti che mentre gli uomini sono caratterizzati da senso pratico e capacità gestionali le donne sono più creative e adeguate ad altri ambiti, diversi da quelli scientifico-tecnologici e più astratti. Il documento in questione si intitola Google’s Ideological Echo Chamber e fa cioè riferimento agli sforzi anti-discriminatori delle nuove politiche di Google, che secondo James Damore sarebbero puramente ideologici e non basati su dati scientifici, e costringerebbero diversi dipendenti che la pensano come lui a digerire delle politiche aziendali inclusive non condivise. Da Google infatti sono in tanti a pensarla così, senza avere però il coraggio di ammetterlo apertamente. Di questa mentalità sessista diffusa all’interno dell’azienda non parla solo James Damore, ma anche le dipendenti donne di Google, che hanno protestato non appena il documento ha iniziato a circolare.

Non c’è bisogno di specificare che le tesi esposte da James Damore non hanno alcuna validità scientifica e che fanno invece parte di una forma mentis ancora troppo diffusa, quella per cui alle bambine regaliamo bambole e ai bambini giochi considerati “più seri e scientifici”, come se il nostro sesso potesse definire il nostro destino lavorativo o la nostra personalità. Di quanto questi stereotipi siano dannosi e di quanto sia importante abbatterli, abbiamo già parlato diffusamente. Nel dubbio comunque, Danielle Brown, vicepresidente dell’ufficio diversità e integrazione di Google, ha fatto presente ai suoi dipendenti, con un comunicato, che le tesi esposte nel documento di James Damore sono completamente sbagliate: ribadire l’ovvio alle volte può essere più utile di quanto si possa pensare.

Dal canto suo il CEO di Google, Sundar Pichai, pur ribadendo che l’azienda garantisce ai suoi dipendenti la totale libertà di espressione, ha preso la decisione di licenziare James Damore, ritenendo che la sua iniziativa avesse oltrepassato completamente i limiti del buonsenso e delle politiche aziendali, ostacolando il lavoro di colleghi e colleghe. James Damore ha dichiarato la sua intenzione di fare causa a Google, perché resta convinto della sua posizione. Del resto è questa la natura dei pregiudizi: che sono duri a morire.

Source: freedamedia.it

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