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Legge su congedo mestruale: come funziona?

29 marzo 2017

Il congedo mestruale potrebbe diventare una realtà in Italia. E non è detto che sia una buona notizia. Il disegno di legge è stato presentato alla Camera il 27 aprile 2016 da quattro deputate del Pd (Romina Mura, Daniela Sbrollini, Maria Iacono e Simonetta Rubinato) ed è ora allo studio della Commissione Lavoro. La bozza di normativa prevede la possibilità per le donne che soffrono di dismenorrea, cioè di ciclo doloroso, di assentarsi tre giorni dal lavoro senza dover usufruire dell’assenza per malattia o ferie. Per potersene avvalere, dovrebbero presentare un certificato di un medico specialista, da rinnovare di anno in anno.

Chi può beneficiarne

L’iniziativa di legge si rivolge alle lavoratrici con:

  • contratto di lavoro subordinato
  • contratto di lavoro parasubordinato
  • contratto di lavoro a tempo pieno o parziale
  • contratto di lavoro a tempo determinato
  • contratto a progetto
  • contratto a tempo indeterminato.

Un problema che affligge tante donne

La proposta viene incontro a un problema che affligge molte donne: secondo le stime riportate da Wired, in Italia oscillerebbe tra il 60% e il 90% la percentuale di donne che lamentano mal di testa, mal di schiena, dolori addominali, forti sbalzi ormonali durante il ciclo. E nel 30% dei casi questi disturbi risultano invalidanti, costringendole a letto, per ore o alcuni giorni.

I critici, un ulteriore penalizzazione sul lavoro

D’altra parte, sostengono critici e critiche, un congedo mestruale potrebbe avere conseguenze negative per le donne stesse, che potrebbero essere ulteriormente penalizzate nel mondo del lavoro, scoraggiandone ulteriormente l’impiego o l’avanzamento di carriera. Come ha sottolineato al quotidiano britannico l’Independent Daniela Piazzalunga, economista all’Istituto per la ricerca valutativa sulle politiche pubbliche (Fbk-Irvapp), “le donne già prendono dei giorni a causa dei dolori mestruali, ma la nuova legge permetterebbe loro di farlo senza usare i permessi per malattia o simili”.

“Tuttavia – ha riconosciuto l’esperta – non escluderei che potrebbe portare a ripercussioni negative: la richiesta di dipendenti donne nelle aziende potrebbe diminuire o le donne potrebbero essere ulteriormente penalizzate sia in termini di salario che di carriera“. In Italia, ricorda il Washington Post, ha il tasso femminile di partecipazione alla forza lavoro è tra i più bassi, con solo il 61% delle donne impiegate contro la media europea del 72%. 

Per non parlare del fatto che potrebbe anche rafforzare lo stereotipo falso e negativo, ma duro a morire, che le donne sono emotive e deboli, incapaci di ricoprire ruoli e incarichi ‘in quei giorni lì’: Basti pensare che le donne hanno potuto accedere alla magistratura solo nel 1965, 17 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione che sancisce l’eguale accesso ai pubblici uffici per uomini e donne, perché si lamentava, tra l’altro, la preoccupazione sui giudizi emessi nel periodo mestruale. 

Come funziona all’estero

Nel marzo dell’anno scorso aveva fatto notizia la decisione dell’azienda di Bristol, Coexist, di introdurre un congedo mestruale in modo da permettere alle donne di prendersi dei giorni durante il ciclo senza essere stigmatizzate, puntando così a rendere il luogo di lavoro più efficiente e creativo.

Parlando di aziende, nel 2007 era stata la Nike americana ad aprire la strada, prevedendo il congedo mestruale, mentre guardando ai governi, i pionieri sono stati i giapponesi che già nel 1947 avevano previsto il “seirikyuuka”, cioè un congedo, seguiti dall’Indonesia nel 1948. Più di recente un ‘riposo mensile’ è stato introdotto nel 2001 in Corea del Sud e nel 2013 a Taiwan, così come in Zambia.

La Tampon Tax

Le reazioni sono diverse e composite, tra rivendicazioni, scetticismo e velata ironia, non solo nell’universo maschile, ma anche tra le stesse donne. Discussioni simili si erano avute nel gennaio scorso alla presentazione da parte di Giuseppe Civati della cosiddetta Tampon Tax, un disegno di legge, rimasto tale, che chiedeva di ridurre l’aliquota Iva sui prodotti di prima necessità destinati alle donne – come assorbenti igienici e tamponi – dal 22% attuale al 4%. Cioè, che siano considerati non bene di lusso, ma un bene primario. 

Sul tema era intervenuta anche la scrittrice italiana di origini somale, Igiaba Scego, con un lungo articolo su Internazionale intitolato “Le mestruazioni sono una cosa seria“, in cui parlava dei suoi “salti di gioia, come molte” quando è stata presentata la proposta e la reazione di “tanti maschietti che hanno ironizzato sulla faccenda e molti, sempre maschietti, hanno giudicato iniquo il provvedimento”.

Il fenomeno, sottolineava nell’articolo, è tanto naturale (e vitale) quanto tabù, “demonizzato a più livelli”. “Insomma – scriveva lo scroso anno – queste benedette mestruazioni ci sono, ma il mondo tende a parlarne il meno possibile e quando ne parla lo fa sempre sottovoce. Questo tabù di fatto accomuna tutti i patriarcati, da oriente a occidente. Forse sono differenti le modalità di azione, ma la discriminazione direi che è proprio la stessa”. 

 

Source: www.agi.it

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