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“Non dobbiamo creare lavori, ma dare a tutti uno scopo”

29 maggio 2017

“Se riesco ad arrivare alla fine di questo discorso oggi, sarà la prima volta che porto a termine qualcosa qui ad Harvard”. Mark Zuckerberg, visibilmente emozionato, in giacca e cravatta, per salutare e ispirare i neo laureati di Harvard, dopo aver ritirato la laurea ad honorem, parte proprio da dove ha lasciato, il ritiro dall’Università, per trasferirsi in California e occuparsi del successo planetario della sua creatura, Facebook. “Il più bel ricordo dei tempi passati qui è sicuramente quello di aver incontrato Priscilla (poi diventata sua moglie). Entrare ad Harvard è forse ciò che ha reso i miei genitori più orgogliosi”.

“Trovare un obiettivo non è abbastanza”

Dopo una parentesi privata, si rivolge alla platea in un lungo discorso tutto incentrato sulla necessità di trovare uno scopo nella vita e lavorare perchè la libertà di averne uno appartenga a tutti. Sono parole incentrate sul sociale, sull’importanza della collaborazione e soprattutto sulla forza che si può trarre da una comunità mondiale forte e interconnessa. “Sono qui per dirvi che trovare un obiettivo non è abbastanza, la sfida è creare un mondo in cui tutti abbiano uno scopo nella vita. Averne uno ti fa sentire di appartenere a qualcosa più grande di noi stessi…Quando i nostri genitori si sono laureati – ha continuato – per loro c’era il lavoro, la chiesa, la comunità. Ma oggi la tecnologia e l’automatismo stanno eliminando molti lavori. Il senso della comunità è diminuito. Molte persone si sentono depresse, mentre cercano di riempire un vuoto. Ho viaggiato molto […] ho incontrato tanti che mi hanno detto come la loro vita sarebbe stata migliore se avessero avuto qualcosa da fare”.

“Non bisogna creare lavori, ma scopi”

E poi parole che incoraggiano a sognare in grande: “Il cambiamento inizia dal locale. Anche quelli mondiali iniziano in piccolo, con persone come noi. Questa è anche la mia storia. Uno studente in una stanza di un dormitorio che cerca di unire una comunità alla volta, fino a riuscire a connettere l’intero mondo. “Ma non bisogna lavorare isolati, ammononisce il padre di Facebook: “Per fare avanzare la nostra società, abbiamo davanti una sfida generazionale: non bisogna solo creare lavoro, ma scopi. Non bisogna solo avere un obiettivo per noi stessi, ma anche per gli altri. La mia idea non era costruire una compagnia, ma avere un impatto“.

 

Il discorso integrale di Mark Zuckerberg all’università di Harvard il 25 maggio 2017

Rettore Faust, Board of Overseers, corpo insegnanti, Alumni, amici, genitori orgogliosi, membri dell’Administrative Board e laureati della migliore università al mondo,

sono onorato di essere qui con voi oggi perché, diciamocelo, avete realizzato qualcosa che non sono mai riuscito a fare. Se concluderò questo discorso, sarà la prima volta in cui riuscirò a portare davvero a termine qualcosa ad Harvard. Classe del 2017, congratulazioni!

Non sono forse la persona adatta a tenere un discorso, non solo perché ho lasciato gli studi, ma anche perché tecnicamente facciamo parte della stessa generazione. Abbiamo camminato in questo cortile a meno di dieci anni di distanza, abbiamo studiato le stesse idee e dormito durante le stesse lezioni di economia. Le strade che ci hanno portato qui sono diverse, in particolare se siete arrivati dal lontano dormitorio di Radcliffe, ma oggi voglio condividere con voi quello che ho imparato sulla nostra generazione e sul mondo che stiamo costruendo insieme.

Innanzitutto, vorrei dire che gli ultimi giorni mi hanno riportato alla mente tanti bei ricordi. Quanti di voi si ricordano esattamente cosa stavano facendo quando hanno ricevuto la lettera di ammissione ad Harvard? Io stavo giocando a Civilization. Sono corso di sotto, ho incrociato mio papà e, per qualche motivo, la sua reazione è stata quella di filmarmi mentre aprivo la lettera. Avrebbe potuto essere un video davvero triste. Giuro che l’ammissione ad Harvard è ancora la cosa per cui i miei genitori sono più orgogliosi di me.

Vi ricordate la prima lezione ad Harvard? La mia è stata Computer Science 121 con l’eccezionale Harry Lewis. Ero in ritardo, quindi mi sono infilato una maglietta e non mi sono reso conto, se non più tardi, che era al contrario, con l’etichetta in bella mostra. Non riuscivo a capire perché nessuno mi parlasse, tranne un ragazzo, KX Jin, che non si fece alcun problema. Abbiamo risolto insieme gli esercizi che ci venivano assegnati e ora gestisce una parte importante di Facebook. Classe del 2017, è per questo motivo che dovete essere gentili con le persone.

Ma il ricordo più bello di Harvard è l’incontro con Priscilla. Avevo appena lanciato, per gioco, questo sito Web, Facemash, e il Consiglio mi ha comunicato che “voleva vedermi”. Tutti pensavano che mi avrebbero cacciato. I miei genitori mi hanno raggiunto per aiutarmi a fare i bagagli. I miei amici mi hanno organizzato una festa di addio. Sono stato fortunato: Priscilla era a quella festa con un’amica. Ci siamo incontrati mentre eravamo in fila per il bagno del Pfoho Belltower e le ho detto una delle frasi più romantiche di tutti i tempi: “Fra tre giorni mi cacceranno, quindi io e te dobbiamo sbrigarci a uscire insieme”.

In realtà, ciascuno di voi laureandi può usare questa frase.

Alla fine non mi hanno cacciato: ho deciso io di andarmene. Io e Priscilla abbiamo iniziato ad uscire insieme. E, anche se nel film sembra che la creazione di Facemash sia stata fondamentale per quella di Facebook. non è vero. Tuttavia, senza Facemash non avrei incontrato Priscilla, che è la persona più importante della mia vita, quindi posso dire che si tratta della cosa più importante che abbia costruito durante il periodo trascorso qui.

Abbiamo tutti trovato amicizie durature qui e alcuni di noi hanno addirittura trovato la propria famiglia. Ecco perché sono grato a questo luogo. Grazie, Harvard.

Oggi voglio parlare dello scopo. Non sono qui per farvi il tipico discorso della cerimonia di consegna dei diplomi in merito al trovare il vostro scopo. Siamo giovani. Ci verrà di farlo istintivamente. Sono qui per dirvi invece che trovare il vostro scopo non è sufficiente. La sfida della nostra generazione è creare un mondo dove tutti sentano di avere uno scopo.

Uno degli aneddoti che preferisco è legato alla visita di John F Kennedy al centro spaziale NASA. Vide un inserviente con una scopa e gli chiese cosa stesse facendo. L’inserviente rispose: “Presidente, sto aiutando a portare un uomo sulla luna”.

Lo scopo è quel senso di appartenenza a qualcosa di più grande di noi, la sensazione di essere necessari e di lavorare per arrivare a qualcosa di meglio. Lo scopo è ciò che crea la vera felicità.

Vi state laureando in un periodo in cui questo è particolarmente importante. Quando si sono laureati i nostri genitori, lo scopo derivava dal lavoro, dalla chiesa, dalla comunità. Nei nostri giorni però la tecnologia e l’automazione stanno sostituendo tanti lavori. L’appartenenza alle comunità non è più così importante. Molte persone si sentono disconnesse e depresse e cercano di colmare un vuoto.

Viaggiando, ho parlato con ragazzini detenuti in carcere minorile e tossicodipendenti, che mi hanno detto che le loro vite avrebbero potuto essere diverse se avessero avuto qualcosa da fare, ad esempio un programma post-scolastico, o un luogo dove andare. Ho incontrato operai che sanno che i loro lavori non esistono più e cercano di trovare il loro posto nel mondo.

Per far progredire la nostra società, dobbiamo affrontare una sfida generazionale: non dobbiamo solo creare nuovi lavori, ma anche dare un nuovo senso allo scopo.

Ricordo la notte in cui ho lanciato Facebook dalla mia stanzetta del dormitorio di Kirkland House. Ero andato da Noch’s con il mio amico KX. Ricordo di avergli detto che ero felice di connettere la comunità di Harvard ma che un giorno qualcuno avrebbe connesso il mondo intero.

Il fatto è che non mi era mai passato per la mente che quel “qualcuno” potessimo essere noi. Eravamo solo studenti universitari. Non sapevamo nulla. Erano tutte le grandi aziende del settore tecnologico ad avere le risorse. Pensavo che sarebbe stata una di queste a farlo. Ma avevamo chiara un’idea: tutte le persone vogliono connettersi. Siamo quindi andati avanti, giorno dopo giorno.

So che molti di voi potranno raccontare storie come questa. Ritenete che quel determinato cambiamento nel mondo sia così necessario che qualcun altro lo realizzerà. E invece no. Sarete voi a farlo.

Tuttavia, avere uno scopo non è sufficiente. Dovete far comprendere alle altre persone il senso dello scopo.

L’ho scoperto a mie spese. Vedete, io non sognavo di costruire un’azienda ma di lasciare il segno. E visto che tante persone si univano al progetto, ho pensato che anche loro avessero lo stesso scopo, quindi non ho mai dovuto spiegare cosa sognavano di costruire.

Dopo alcuni anni, delle grandi aziende volevano acquisirci. Io non volevo vendere. Volevo vedere se saremmo riusciti a connettere più persone. Stavamo creando il News Feed e io pensavo che, se fossimo riusciti a lanciarla, avremmo cambiato il modo in cui scopriamo cosa succede nel mondo.

Quasi tutti volevano vendere: in mancanza di uno scopo più alto, è questo il sogno di ogni startup che diventava realtà. È quello che ha distrutto la nostra azienda. Dopo una discussione animata, un consulente mi disse che se non avessi accettato di vendere, avrei rimpianto la decisione per il resto della mia vita. Le relazioni si erano logorate al punto che, nel giro di un anno, tutto il management team aveva lasciato l’azienda.

È stato il periodo più duro per me in tutto il periodo di gestione di Facebook. Credevo in ciò che stavamo facendo, ma mi sentivo solo. Peggio ancora, era colpa mia. Mi chiedevo se fossi io a sbagliarmi, se fossi un impostore, un ragazzo di 22 anni che non aveva idea di come funzionasse il mondo.

Ora, anni dopo, capisco che questo è il modo in cui funzionano le cose quando non si ha uno scopo più alto. Sta a noi crearlo per poter progredire tutti insieme.

Oggi voglio parlare di tre modi per creare un mondo dove tutti sentono di avere uno scopo: l’avvio di progetti straordinari insieme, la ridefinizione delle pari opportunità per dare a tutti la libertà di perseguire il proprio scopo e la costruzione di una comunità in tutto il mondo.

Per prima cosa, partiamo con la creazione di progetti straordinari.

La nostra generazione dovrà affrontare la sostituzione di decine di milioni di posti di lavoro da dispositivi automatici, ad esempio le auto e i camion con guida automatica. Tuttavia, abbiamo il potenziale per fare molto di più insieme.

Ogni generazione ha dei lavori che la definiscono. Oltre 300 000 persone hanno lavorato per portare un uomo sulla luna, compreso quell’inserviente. Milioni di volontari hanno somministrato vaccini antipoliomielite a bambini di tutto il mondo. Milioni di persone hanno realizzato la diga di Hoover e altri grandi progetti.

Questi progetti non hanno solo dato uno scopo alle persone coinvolte. Hanno dato anche all’intero Paese un senso di orgoglio per le cose eccezionali che eravamo in grado di realizzare.

Ora è il vostro turno di realizzare cose grandiose. Lo so, probabilmente state pensando che non sapete come si costruisce una diga o come si coinvolgono milioni di persone in un progetto.

Vi svelerò un segreto: all’inizio, nessuno sa come si fa. Le idee non nascono già formate. Diventano chiare solo lavorandoci. Dovete solo iniziare.

Se, prima di iniziare, avessi dovuto capire tutto sulla connessione tra le persone, non avrei mai creato Facebook.

I film e la cultura popolare danno un’immagine sbagliata. L’idea di un singolo momento di euforia rappresenta una bugia potenzialmente pericolosa. Ci fa sentire inadeguati, dal momento che non lo abbiamo vissuto. Questo impedisce alle persone con buone idee allo stato embrionale di iniziare. Sapete cos’altro sbagliano i film in merito all’innovazione? Nessuno scrive formule matematiche su un vetro. È una cosa che non succede.

Essere idealisti è bello. Ma preparatevi a essere incompresi. Chiunque lavori su una visione ampia viene definito folle, anche se poi il tempo gli darà ragione. Chiunque lavori su un problema complesso sarà incolpato di non capire appieno la sfida, anche se è impossibile sapere tutto in anticipo. Chiunque prenda delle iniziative verrà criticato perché ha troppa fretta: c’è sempre qualcuno che vuole rallentarvi.

Nella nostra società, spesso non realizziamo grandi progetti perché abbiamo così tanta paura di sbagliare che ignoriamo tutte le cose sbagliate che rimarranno tali se non facciamo nulla. La realtà è che qualsiasi nostra azione avrà conseguenze nel futuro. Ma questo non deve frenarci.

Cosa stiamo aspettando? È il momento che la nostra generazione si impegni nelle questioni di pubblico interesse. Perché non proviamo a fermare il cambiamento climatico prima di distruggere il pianeta e perché non proviamo a coinvolgere milioni di persone nella produzione e nell’installazione di pannelli solari? Perché non proviamo a curare tutte le malattie chiedendo ad alcuni volontari di monitorare i dati relativi alla loro salute e condividere il loro genoma? Adesso, per guarire le persone malate, spendiamo una cifra 50 volte superiore a quella che spendiamo per trovare cure preventive. È assurdo. Possiamo risolvere questa situazione. Perché non proviamo a rendere la democrazia più moderna per permettere a tutti di votare online e a personalizzare l’istruzione per permettere a tutti di studiare?

Questi traguardi sono a portata di mano. Raggiungiamoli in modo di dare un ruolo a tutti i membri della nostra società. Realizziamo grandi progetti, non solo per il progresso, ma per creare uno scopo.

Avviare progetti straordinari è quindi la prima cosa che possiamo fare per creare un mondo dove tutti sentano di avere uno scopo.

Il secondo è ridefinire le pari opportunità per offrire a tutti la libertà di perseguire il proprio scopo.

Molti dei nostri genitori hanno avuto lavori stabili nella loro carriera lavorativa. Adesso siamo tutti imprenditori, sia che avviamo progetti o ricopriamo una posizione. È straordinario. La nostra cultura imprenditoriale è il modo in cui creiamo questo progresso.

Una cultura imprenditoriale prospera quando è facile testare tante nuove idee. Facebook non è stata la prima cosa che ho creato. Ho creato anche giochi, chat, strumenti per lo studio e lettori musicali. Non sono il solo. J.K. Rowling ha ricevuto 12 no prima di riuscire a pubblicare Harry Potter. Anche Beyoncé ha dovuto incidere centinaia di canzoni prima di Halo. I successi più grandi derivano dalla libertà di sbagliare.

Tuttavia, al momento, il livello di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza danneggia tutti. Se non abbiamo la libertà di prendere un’idea a trasformarla in un’impresa storica, perdiamo tutti. Al momento, la nostra società assegna un valore elevato al riconoscimento del successo e non facciamo abbastanza per dare una possibilità a tutti.

Diciamolo chiaramente. C’è qualcosa di sbagliato nel nostro sistema dato che alcuni guadagnano così tanto mentre milioni di studenti non riescono a restituire i prestiti per le tasse universitarie, figuriamoci avviare un’attività.

Conosco diversi imprenditori, ma non conosco neanche una persona che ha rinunciato a creare un’azienda per paura di non guadagnare abbastanza. Conosco però molte persone che non hanno seguito i loro sogni perché non avevano risorse per ammortizzare la caduta in caso di fallimento.

Sappiamo che non basta una buona idea o lavorare sodo per raggiungere il successo. Ci vuole anche un pizzico di fortuna. Se avessi dovuto supportare la mia famiglia da giovane anziché potermi dedicare a programmare, se non avessi saputo che me la sarei cavata anche se Facebook non avesse funzionato, oggi non sarei qui. Siamo onesti: sappiamo tutti la fortuna che abbiamo avuto.

Ogni generazione amplia la sua definizione di uguaglianza. Le generazioni precedenti hanno combattuto per il diritto di voto e i diritti civili. Hanno vissuto il New Deal e la grande società. Ora è il nostro turno di definire un nuovo contratto sociale per la nostra generazione.

Dovremmo misurare il progresso non solo in base a metriche economiche come il PIL, ma in base a quanti di noi hanno un ruolo che ritengono importante. Dobbiamo esplorare idee come il reddito di base universale per permettere a tutti di realizzare le loro idee in sicurezza. Cambieremo lavoro diverse volte, quindi abbiamo bisogno di servizi per l’infanzia e di un sistema sanitario sostenibili che non siano legati a un’azienda in particolare. Sbagliamo tutti, quindi abbiamo bisogno di una società che non miri solo a punirci o bollarci. Dal momento che la tecnologia continua a cambiare, dobbiamo concentrarci di più sulla formazione continua nel corso delle nostre vite.

Certo, dare a tutti la libertà di avere uno scopo non è gratis. Dovrebbero essere le persone come me a dare un contributo. Molti di voi avranno successo e quindi dovrebbero farlo a loro volta.

Ecco perché io e Priscilla abbiamo fondato la Chan Zuckerberg Initiative, destinando il nostro patrimonio alla promozione delle pari opportunità. Questi sono i valori della nostra generazione. Non si trattava dell’eventualità di farlo o meno. L’unica domanda era il momento in cui lo avremmo fatto.

I giovani fanno parte di una delle generazioni che fa più beneficenza. Nel giro di un anno, tre giovani statunitensi su quattro hanno effettuato una donazione e sette su dieci hanno raccolto denaro per enti di beneficenza.

Ma non si tratta solo di denaro. Potete anche donare il vostro tempo. Vi assicuro che sono sufficienti una o due ore alla settimana per dare una mano a qualcuno, per aiutarlo a sfruttare il suo potenziale.

Forse pensate che sia troppo tempo. Anch’io lo credevo. Quando Priscilla si è laureata ad Harvard, è diventata insegnante. Prima si occupava di formazione mi disse che dovevo tenere delle lezioni. Mi sono lamentato: “Sono impegnato. Gestisco questa azienda”. Ma lei ha insistito, quindi ho iniziato a tenere un corso sull’imprenditorialità per ragazzi della scuola Boys and Girls Club locale.

Ho tenuto lezioni su sviluppo e marketing dei prodotti e i ragazzi mi hanno insegnato come ci si sente a essere oggetto di scherno a causa dell’etnia o di un familiare in carcere. Ho raccontato storie del mio periodo scolastico e loro mi hanno raccontato la speranza di poter frequentare l’università un giorno. Da cinque anni, incontro questi ragazzi a cena una volta al mese. Uno di loro ha organizzato il primo baby shower per me e Priscilla. L’anno prossimo andranno all’università. Tutti quanti. E saranno i primi delle loro famiglie.

 

Possiamo trovare tutti del tempo per dare una mano a qualcuno. Diamo a tutti la libertà di perseguire il loro scopo: non solo perché è la cosa giusta da fare, ma anche perché, quando più persone trasformano il loro sogno in qualcosa di incredibile, ne beneficiamo tutti.

Lo scopo non deriva solo dal mondo del lavoro. Il terzo modo in cui possiamo far sì che tutti sentano di avere uno scopo è costruire una comunità. Quando la nostra generazione si riferisce a “tutti”, indica chiunque nel mondo.

Alzate le mani: quanti di voi provengono da un altro Paese? E quanti di voi sono amici di una di queste persone? Ecco cosa intendo. Siamo cresciuti connessi.

In un sondaggio, ai giovani di tutto il mondo è stato chiesto ciò che definisce la loro identità. La risposta più popolare non è stata la nazionalità, la religione o l’etnia, ma il fatto di essere “cittadini del mondo”. Non è una cosa da poco.

Ogni generazione amplia la cerchia di persone che considera “parte del gruppo”. Per noi, si tratta del mondo intero.

Il grande arco della storia umana ha portato le persone a radunarsi in numeri sempre più grandi, dalle tribù alle nazioni, passando per le città, per ottenere ciò che non sarebbero riusciti a fare da sole.

Ora le migliori opportunità a nostra disposizione sono globali: possiamo essere la generazione che metterà fine alla povertà e alle malattie. Le sfide più importanti necessitano anche di risposte a livello globale: nessun Paese è in grado di combattere il cambiamento climatico o di prevenire pandemie da solo. Ora il progresso richiede un’unione che non si limiti solo a città o nazioni ma anche alla comunità globale.

Viviamo però in un’epoca mutevole. Molte persone in tutto il mondo non sono al passo con la globalizzazione. È difficile occuparsi di persone di altri luoghi se non siamo contenti della nostra vita. Siamo spinti a chiuderci.

È la battaglia della nostra epoca. Le forze della libertà, dell’apertura e della comunità globale contro le forze dell’autoritarismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo. I sostenitori del flusso di informazioni, del libero scambio e dell’immigrazione contro coloro che vorrebbero rallentarli. Non si tratta di una battaglia tra nazioni ma di una battaglia tra idee. In ogni Paese ci sono persone a favore della connessione globale e brave persone che si oppongono ad essa.

Non è neanche una decisione che può essere presa dalle Nazioni Unite. Avverrà tutto a livello locale, quando un numero sufficiente di noi sentirà di avere uno scopo e una stabilità nella vita, al punto di aprirsi e iniziare a occuparsi di tutti. Il modo migliore per farlo è iniziare a costruire subito comunità locali.

Le comunità sono importanti per tutti noi. Che si tratti di case o squadre sportive, chiese o gruppi musicali, ci permettono di sentirci parte di qualcosa di più grande e non essere soli; ci danno la forza di espandere i nostri orizzonti.

Ecco perché è sorprendente che, da decenni, l’iscrizione a qualsiasi tipo di gruppo si sia ridotta di un quarto. Sono molte le persone che quindi devono trovare altrove il loro scopo.

Ma so che possiamo ricostruire le nostre comunità e crearne di nuove perché molti di voi lo stanno già facendo.

Ho incontrato Agnes Igoye, che si laurea oggi. Dove sei, Agnes? Ha trascorso l’infanzia in zone di guerra dell’Uganda e ora si occupa della formazione di migliaia di agenti di polizia che proteggono le comunità.

Ho incontrato Kayla Oakley e Niha Jain, che si laureano anche loro oggi. Alzatevi. Kayla e Niha hanno creato un’organizzazione no profit che mette in contatto le persone che soffrono di una malattia con le persone delle comunità disposte ad aiutarle.

Ho incontrato David Razu Aznar, che si laurea oggi presso la Kennedy School. David, alzati. David era un consigliere comunale e ha guidato con successo la battaglia per fare in modo che Città del Messico fosse la prima città dell’America Latina ad approvare, anche prima di San Francisco, i pari diritti per i matrimoni.

Questa è anche la mia storia. Uno studente nella stanza di un dormitorio che connetteva una comunità alla volta, continuando a farlo finché un giorno non ha connesso tutto il mondo.

I cambiamenti iniziano a livello locale. Anche i cambiamenti globali iniziano da qualcosa di piccolo, con persone come noi. Nella nostra generazione, la possibilità di creare una maggiore connessione e di cogliere le nostre più grandi opportunità si riduce a questo: la capacità di costruire comunità e creare un mondo dove tutti sentano di avere uno scopo.

Classe del 2017, vi state laureando in un mondo che ha bisogno di scopo. Sta a voi crearlo.

Ora magari starete pensando: sono davvero in grado di farlo?

Ricordate quando vi ho parlato delle lezioni che tenevo al Boys and Girls Club? Un giorno, dopo lezione, stavo parlando dell’università con i ragazzi e uno degli studenti migliori alzò la mano dicendo che non era sicuro di poterla frequentare, dal momento che era un immigrato senza documenti. Non sapeva se lo avrebbero ammesso.

L’anno scorso l’ho portato fuori a colazione per il suo compleanno. Volevo fargli un regalo, quindi gli ho chiesto cosa volesse. Iniziò a parlare delle difficoltà che avevano gli studenti e rispose: “Vorrei solo un libro sulla giustizia sociale”.

Rimasi colpito. Era un ragazzo giovane, che avrebbe avuto tutte le ragioni per essere cinico. Non sapeva se il Paese che definisce casa sua, l’unico che conosce, gli avrebbe negato il sogno di frequentare l’università. Tuttavia, non si sentiva dispiaciuto per se stesso. Non pensava neanche a se stesso. Sente di avere uno scopo, per questo trascinerà con sé le persone.

La situazione che viviamo attualmente è così paradossale che non posso neanche dire il suo nome per non metterlo in pericolo. Tuttavia, se uno studente all’ultimo anno delle superiori, che non sa cosa gli riserva il futuro, può fare la sua parte per far progredire il mondo, allora anche noi dobbiamo fare la nostra parte.

Prima che usciate per l’ultima volta da questi cancelli, mentre siamo qui seduti davanti alla Memorial Church, mi viene in mente una preghiera, Mi Shebeirach, che recito ogni volta che devo affrontare una sfida e che canto a mia figlia pensando al suo futuro quando le rimbocco le coperte. Dice: “Che la fonte di forza che ha benedetto quelli prima di noi ci aiuti a *trovare il coraggio* di rendere la nostra vita una benedizione”.

Spero che anche voi troviate il coraggio di rendere la vostra vita una benedizione.

Congratulazioni, classe del 2017! Buona fortuna a tutti là fuori.

 

Source: www.agi.it

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