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Pedalare fa bene, anche all’economia

31 maggio 2017

Ciclovia-acquedotto

di MATTIA FIORILLO

I chilometri dell’acquedotto pugliese sono pari a quelli della ciclovia che lo accompagna, da Caposele a Santa Maria di Leuca: 480, metà dei quali su piste già esistenti e quasi interamente percorribili. Un progetto per cui lottano le associazioni del territorio, riunite nel Coordinamento dal basso, che ha ottenuto l’inserimento di questa greenway nel pacchetto – 91 milioni in tre anni – in cui erano già inserite la ciclovia del Grab di Roma, Ven.To (Venezia- Torino) e la Ciclopista del Sole. Come si arriva a questo piano delle ciclovie nazionali? «Nasce – ricorda il ministro dei Trasporti Graziano Delrio – perché quei matti di Legambiente, sapendo della mia smania per la ciclabilità, sono venuti a trovarmi un giorno dicendomi: abbiamo un bel progetto. Quel bel progetto è il Grab, il Grande raccordo anulare delle bici capitolino». Si sono poi aggiunte Ven.To, la ciclabile che scalzerebbe dal primo posto la ciclovia dell‘acquedotto pugliese, con i suoi 632 chilometri tra Venezia e Torino e la ciclopista del Sole, proseguimento – fi no a Firenze – di una tratta già attiva tra Bolzano e Verona. Fino all’ultima arrivata, la Tirrenica, con 1.200 km di percorso, da Ventimiglia a Civitavecchia, come prevede l’intesa firmata il 7 aprile tra le regioni Liguria, Toscana e Lazio.

L’acquedotto ultracentenario, il Re Buono, è la grande muraglia del Meridione e offre i soliti spunti di riflessione: c’è già tanto, quasi tutto (le meraviglie dell’Alta Irpina, del Vulture Melfese, dell’Alta Murgia, della Valle d’Itria e dell’entroterra salentino: queste le tappe indicate), ma non tutto. Quello che manca, e che la ciclovia sollecita, è la valorizzazione dei futuri gioielli dell’architettura industriale del sud Italia: case cantoniere, impianti di sollevamento, magazzini, officine, oltre a quella che potrebbe già essere una segnaletica orizzontale (i piccoli tombini di ghisa dell’acquedotto) e lievemente verticale (le cape de fi rr, le antiche fontanelle).

A tenere insieme il cantiere-dalbasso è Cosimo Chiffi , economista dei trasporti «sempre più convinto che lo scoglio maggiore sia di tipo burocratico e non realizzativo/ progettuale», come racconta a Nuova Ecologia. In effetti, gran parte del percorso è già in sicurezza grazie alla manutenzione dell’acquedotto pugliese s.p.a., che tiene anche pulito il tracciato, di cui si serve per le ispezioni tecniche. Quindi piccoli accorgimenti, interventi di infrastrutturazione leggera, e le pratiche di adozione dei vari segmenti della ciclovia da parte delle associazioni sul territorio, secondo il principio costituzionale della sussidiarietà, fanno la differenza. Gaetano Salvemini disse, secondo un refrain resuscitato a ogni nuovo scandalo sul malaffare intorno a questa grande opera, che «l’acquedotto sta dando più da mangiare ai genovesi che da bere ai pugliesi». Si riferiva all’uso di manovalanza settentrionale e non autoctona. La formula sintetica – che desse comunque “più da mangiare che da bere” – si spera, e si crede, possa rimanere tale ma diventare positiva, grazie all’indotto di un settore, il cicloturismo, che diventa sempre meno di nicchia e che il 2017 sembra vedere in continua e ininterrotta crescita: in Europa il cicloturismo è stimato valere 44 miliardi, più del turismo crocieristico.

Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia, conferma questa impressione, e sulla ciclovia dell’acquedotto aggiunge: «Considerato che il cicloturismo oggi in Italia può contare su un giro di affari intorno ai 2 miliardi di euro, quello dell’Alta Murgia (una delle tappe della ciclovia e premio Oscar per l’ecoturismo 2016) può ragionevolmente candidarsi a diventare il parco nazionale più ciclabile d’Italia, puntando anche alla realizzazione di una ciclovia turistica dei siti Unesco che colleghi il Castel del Monte a Matera e ad Alberobello. In Puglia i Parchi e le aree protette – prosegue Tarantini – rappresentano sempre più un forte richiamo e il turismo-natura diventa l’occasione per vivere la nostra regione in modo sostenibile e slow, soddisfacendo la voglia di evasione, la ricerca di benessere e di riappropriazione della natura. Le strade rurali – per le quali la ciclovia passa per metà del suo percorso – sono le regine incontrastate attraverso cui apprezzare, con accortezza e rispetto, i luoghi di grande bellezza che contraddistinguono la Puglia».
Il cicloturismo è un movimento neanche troppo giovane. È piuttosto nella fase, considerata ancora giovane, dell’attesa della prova di maturità. Chi si occupa di bicicletta fa oggi riferimento a un clima, a qualcosa che si sta muovendo. Le infrastrutture – leggere e non – finanziate dal piano del Mit sono anche questo: interruttori, motori ecologici, con cui innestare cicli virtuosi negli interventi sulla mobilità; antologie delle possibili vie che piedi e pedali possono prendere nel prossimo futuro; punti di incontro tra realtà già affermate e in via di affermazione: appunto, un clima, una rete, uno sfondo. C’è chi ha iniziato vent’anni fa, da una cameretta o un garage, per prendersi un posto di assoluto rilievo a livello internazionale, come ha fatto Pierpaolo Romio, partito da una cameretta nel ‘98 per arrivare alla cinquantina di dipendenti fissi e ai quindici milioni di fatturato annuo con Girolibero, il più grande ciclotour operator italiano. «E ancora ogni anno cresciamo: non parlerei di un momento di boom, quanto di una crescita costante». Lo slogan di Girolibero è «vacanze facili in bicicletta: si cerca di far pedalare in piano, evitando il problema-bagagli (ci occupiamo noi di spostarli); sempre più, i nostri clienti chiedono biciclette elettriche (gli stranieri soprattutto, che le hanno conosciute prima), e sta nascendo proprio ora anche un segmento legato alle bici da corsa». Romio «vuole parlare a più persone possibile». E quando si guarda intorno vede «quante macchine a Forte dei Marmi hanno la bicicletta sul tettuccio; e forse, se dev’essere l’anno della bicicletta, lo sarà perché Ikea l’ha messa in catalogo! Capito? Dai mobili alle biciclette, vorrà pur dire qualcosa». Chi ha deciso di cambiare lavoro – era una restauratrice – per puntare davvero sulla bici è Matilde Atorino.

girolibero_bolzano_venezia

Bikenbike, la sua start up, ha colto i segnali delle opportunità economiche del viaggio in bici e nasce per collegare, perché «questa piattaforma, senza gli altri, non va da nessuna parte: è un punto d’incontro». Parlando con Matilde vengono fuori le stesse parole chiave, di movimento: movimento meccanico, di idee, di persone. Sarà una coincidenza ma da quando se ne occupa vede sbocciare sempre più progetti, collaborazioni, dibattiti intorno al tema-bicicletta. Bikenbike si ripromette, nella teoria, di essere proprio quella rete, quella che tiene insieme e raccorda le piccole realtà; e così si offre nella pratica, come incontro tra bike tourists e bike ambassadors. I secondi offrono ai primi percorsi in bicicletta – «da un giretto per la città ai veri e propri tour» – con grandissima libertà sulla natura di questi tragitti, che possono essere artistici, enogastronomici, avventurosi: «Da un bici+pasta e fagioli a un bici+arte medievale», definizione sorridente del turismo esperienziale, un approccio sempre più in voga nel settore viaggi, anche tra le multinazionali.

La bici esce dalla nicchia pedalando verso le giovani forme dell’ebike e del bikesharing, che dominano le fiere dedicate. Matilde Atorino ha portato Bikenbike a Verona per il salone internazionale della bicicletta (Cosmobike, 60mila visitatori nel 2016, +20% rispetto all’anno passato), e anche all’Eurobike Show, la più grande fiera della bici in Europa, e ci racconta di una sezione Travel on bike che «riceve un’attenzione sempre maggiore sia in termini di area tematica dedicata che di conferenze». Anche le università si associano ai progetti. Così, ricorda sempre la promotrice di Bikenbike, «il Politecnico di Milano ha lanciato Ven.To e la start up Zeus, che sta mettendo a punto un meccanismo per la ricarica della bici mentre si pedala». Insomma basta nicchia, rifiutata perché stretta per il movimento, e perché l’atteggiamento è «avvicinare sempre di più sempre più persone al cicloturismo: ci si è messa un po’ di crisi, un po’ di voglia di sperimentare, un po’ di moda».

 

Source: lanuovaecologia.it

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