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Siamo ancora più unici di quello che crediamo.

27 marzo 2017

Se c’è una cosa a cui tengo molto – come tutti, del resto – è la mia unicità.

Non solo la mia, ma anche quella degli altri. Mi piacciono tantissimo le cose che ci rendono diversi, sia fisicamente che caratterialmente. Quindi, quando ho scoperto che da un punto di vista strettamente biologico, siamo ancora più unici di quello che credevamo, ho pensato che valesse la pena spremere le mie meningi e cercare di capirci qualcosa di più. Anche perché in questi studi sull’unicità è racchiuso anche un pezzetto del segreto della nostra evoluzione, sia di quella passata che di quella futura.

Si dice spesso che gli esseri umani, da un punto di vista genetico, siano praticamente identici.

I nostri patrimoni genetici, cioè, sarebbero uguali al 99,9% e diversi solo per un – apparentemente – misero 0,01%. Sembra una percentuale bassissima, ma è esattamente quella che ci rende diversi gli uni dagli altri, che ci rende unici, determinando caratteri visibili, come il colore dei capelli o degli occhi, e meno visibili, come la propensione alle malattie.
Quando parliamo di queste percentuali stiamo parlando di porzioni del nostro patrimonio genetico, cioè di DNA.

A lungo si è pensato che questo 0,01%, che ci rende diversi, occupasse per tutti la stessa posizione di DNA, la stessa posizione, per intenderci. Questo voleva dire che ci assomigliavamo nel nostro essere diversi, perché ciò che ci rendeva diversi era sempre la stessa cosa e che quindi poteva, con buone probabilità, essere previsto.
Diversi scienziati però hanno recentemente studiato ancora più da vicino questo fenomeno, che prende il nome di “variabilità genomica”, e si sono accorti che in realtà questo 0,01% che pensavamo essere fisso e occupare per tutti la stessa porzione di DNA, può cambiare.

La variabilità genomica aumenta e questo significa che con essa aumenta la nostra unicità.

Non solo, ma spostandosi il posizionamento di questa percentuale, diventa anche più difficile determinarlo in modo preciso e questo vuol dire che alcuni caratteri continueranno a essere prevedibili, mentre altri non lo saranno per niente.
L’articolo di Quartz che ha suscitato il mio interesse nei confronti dell’argomento faceva, a questo proposito, un esempio molto chiaro.

Proviamo cioè a pensare al DNA come se fosse una macchina: ci sono certi caratteri prevedibili, che rendono una macchina diversa dall’altra, come il colore o il numero delle porte. Ci aspettiamo che siano queste cose “fisse” a rendere un’automobile diversa da un’altra. E siamo stati a lungo convinti che ciò che rende funzionante una macchina sia sempre lo stesso meccanismo a motore. Le auto elettriche, però, ci hanno mostrato che non è così, che anche questo meccanismo può cambiare.

E che cos’è questo mutamento se non l’origine di ogni differenza e di qualsiasi tipo di evoluzione?

Darwin stesso diceva che più questa variabilità aumenta più aumentano le possibilità che un essere vivente, di una certa specie, ha di sopravvivere all’ambiente circostante, e quindi di evolversi. Che è come dire, non solo che siamo ancora più unici di quello che pensavamo, ma che sopravviviamo proprio perché siamo tutti diversi. Bello, vero?

 

Source: freedamedia.it

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