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Sull’Affetto Per Gli Animali Domestici

Sull’Affetto Per Gli Animali Domestici
3 ottobre 2018

In passato, mi è capitato spesso di sentire giudicare negativamente il comportamento di padroni e padrone di cani, colpevoli di “trattare il proprio cane/gatto come un figlio”. A commentare così drasticamente erano quasi sempre persone che non avevano mai avuto la responsabilità di un animale: io stessa, che non avevo ancora sperimentato la cura e la compagnia di un piccolo amico peloso, non trovavo repliche sensate al suddetto giudizio. Non sapevo se trattare cani e gatti come bambini fosse giusto o sbagliato eticamente o etologicamente, ma ero assolutamente certa che a me non sarebbe mai successo. Poi per fortuna la vita, che con le sue sorprendenti e accidentali evoluzioni interviene sempre a demolire le nostre convinzioni più ferree, mi ha dato la possibilità di ricredermi in toto: sono diventata una “canara”. Ho adottato la piccola meticcia Dolly e, grazie a lei, sto finalmente saggiando sulla mia pelle come la relazione con un animale domestico sia, in realtà, molto più complessa e controversa di quanto possa trasparire dall’esterno.

A risvegliare la mia consapevolezza su questo tema è stata la comica americana Iliza Shlesinger con lo show Elder Millennial. Ho riso fino alle lacrime quando, verso la fine dello spettacolo, Iliza racconta come il suo nascente desiderio di maternità la stia portando a guardare con concupiscenza il contenuto di una carrozzina, a chiedere di strizzare la ciccetta morbidosa della gamba di un neonato altrui e, infine, a sfogare le proprie smanie sul proprio cane, vittima innocente e inconsapevole del suo mantra “Who’s the baby?”, “Chi è il mio piccolino?”. Ho trovato particolarmente spassosa la sua restituzione del punto di vista del povero cane, costretto a essere preso in braccio e coccolato come un cucciolo di umano. Ovviamente la comica estremizza la questione per fini comici, eppure specchiarmi nelle sue battute è stato perturbante e insieme liberatorio: perché mi sono riconosciuta anche io in quegli assurdi comportamenti – proprio io, che finora non avevo mai manifestato verso alcun essere vivente i classici segni del fantomatico “istinto materno” con cui ogni donna viene ossessionata fin da piccola. Quelle risate mi hanno portato ad osservarmi con più attenzione nella vita quotidiana e quindi a domandarmi: anche io, senza rendermene conto, tratto la mia cagnetta come una figlia? Perché?

Prima di continuare, una doverosa premessa: sono d’accordo con chi sostiene che “l’istinto materno” – o meglio quel sistema di convinzioni e pregiudizi associati alla maternità che sovrappone confusamente lo stereotipo canonico di femminilità, la “baby fever” e l’istinto naturale all’accudimento – sia una questione soprattutto culturale. Nonostante i numerosi studi atti a confermare biologicamente il fenomeno, è stato dimostrato che è il desiderio sessuale, e non quello di maternità, che ci spinge a trasmettere il nostro corredo genetico. Inoltre, le molte testimonianze di donne childfree per scelta dimostrano nel concreto che il desiderio di avere figli non è innato né segue un preciso orologio biologico valido per tutti. Tuttavia a riguardo sono state fatte scoperte degne di nota: molti test, che miravano a verificare il coinvolgimento di cervello e ormoni nei comportamenti parentali dei mammiferi, hanno riscontrato una dinamica diversa e più universale. Come spiega Sara Gibbens riportando gli studi dell’antropologa Sara Blaffer Hrdy e la neuroscienziata Bianca J. Merlin, di fronte a un cucciolo bisognoso di cure il cervello dei mammiferi produce ossitocina, l’ormone del piacere; e secondo i risultati di uno studio sulla rivista scientifica Neuron, la dopamina e il sistema neurale di ricompensa sono coinvolti nell’istinto che molti animali dimostrano, a recuperare i propri cuccioli e a riportarli alla tana o al nido. Ovviamente, la risposta di un topo a certi stimoli e trasformazioni è decisamente meno complessa e sfaccettata della risposta di un essere umano. Pare però che accada non solo ai cervelli dei genitori biologici: ma anche a quelli dei genitori adottivi, uomini e donne, di qualsiasi genere e orientamento sessuale. E, come sostiene uno studio del Massachusetts General Hospital riportato da Keith Perry sul Telegraph, la dopamina può attivarsi anche a distanza fisica e nelle relazioni interspecie: motivo per cui i video con i gattini sono la categoria più visualizzata del web.
Lori Palley, del MGH Center for Comparative Medicine, dichiara infatti:

Gli animali hanno un posto speciale nel cuore e nella vita di molte persone e ci sono prove convincenti da studi clinici e di laboratorio del fatto che interagire con gli animali domestici può essere utile al benessere fisico, sociale ed emotivo degli umani.

Potrà sembrare un’affermazione ovvia, anche perché la pet therapy è già molto nota e diffusa nella nostra società. Ecco spiegato quindi, scientificamente, il perché di certi comportamenti parentali verso i nostri animali domestici: eppure, l’aspetto psicologico e relazionale della questione richiede un’ulteriore spiegazione.

La decisione di convivere con un animale e di prendersi cura di lui estraendolo dal proprio legittimo ecosistema nasconde sicuramente degli aspetti controversi; anche se nel caso di specie come quella canina e felina, bisogna rammentare che il nostro percorso evolutivo si è incrociato con il loro millenni fa, e la nostra relazione non paritaria ha portato molti cambiamenti in bene e in male a entrambe le specie, demolendo però molte delle loro caratteristiche più selvatiche e antropizzando il loro ambiente naturale. Nonostante ciò, al giorno d’oggi sempre più di persone fanno questa scelta, e per i motivi più disparati: solitudine, difesa, mancanza d’affetto, stress, depressione, problemi relazionali, animalismo, attivismo, amore e nostalgia per la natura, moda, tradizione, desiderio di stabilità, consumismo, status sociale, svago, altruismo o contingenze casuali. Troppo spesso, chi adotta un animale per motivazioni egoistiche o per capriccio, finisce per restituirlo, o peggio per maltrattarlo e abbandonarlo. Ma c’è anche chi corre ai ripari in modo encomiabile, trovandogli per esempio una nuova casa: perché riconosce di aver sottovalutato l’impegno. Come tutti non fanno che ripetere infatti, avere un animale domestico è un vero impegno, che comporta una serie di responsabilità e che condiziona in modo concreto la nostra vita. Chi riesce ad aprirsi alla relazione e a provare un sincero affetto per il proprio pet, si fa carico di nutrirlo, pulirlo, curarlo, farlo divertire; più in generale, considerarlo un tot di ore al giorno e non stressarlo, ma farlo stare bene, dandogli spazio e ascoltando i suoi veri bisogni. Soprattutto, è un dovere proteggere il proprio animale da ciò che del mondo umano, ancor più se urbano, non è preparato a capire e ad affrontare. Bisogna imparare a conoscere bene sia la specie sia il proprio specifico esemplare, e a comprendere – anche con il supporto di veterinari ed educatori – quando e come aiutarlo nella relazione con noi e col nostro ambiente. Perché, facendoli vivere con noi, anche se li salviamo e gli diamo una seconda occasione di vita, rendiamo i nostri animali domestici dipendenti, vulnerabili, a volte un po’ inabili. Molti degli incidenti che li coinvolgono sono dovuti proprio alle nostre interferenze, volontarie e involontarie, nel loro naturale comportamento.

Personalmente, nonostante le molte rinunce, ho tratto unicamente benefici dalla mia convivenza e dal mio rapporto con Dolly. È una cagnetta traumatizzata, è stata abbandonata, ha vissuto i suoi primi mesi in un canile ed è stata svezzata senza la madre: ha molte fobie e inoltre la sua salute è piuttosto cagionevole. Non è una storia tragica la sua, è un dato di fatto: quasi tutti i cani che conosco sono nelle condizioni di Dolly o peggio. Eppure, nonostante questo bagaglio, la sua presenza fisica ed emotiva, il suo carattere e il suo affetto hanno illuminato la mia vita: la relazione con lei è stata fin da subito, sì faticosa, ma incredibilmente rigenerante. Le sono così grata che sento il dovere di ricambiare questo benessere: perché è bella e autentica e affettuosa, e ricambio il suo amore incondizionato di cane anche quando mi fa impazzire. Passo con lei tutte le mie giornate, spendo per lei quasi tutti i miei soldi. Perché, altra verità: un animale domestico è un lusso. In tutti i sensi. Un notevole investimento di tempo e di denaro.

È la semplicità e la positività reciproca del nostro rapporto ad accendere in me il bisogno di tenerezza, non il contrario. So che è fondamentale ricordare sempre che i nostri animali domestici non sono esseri umani e non è giusto trattarli come tali, perché è scorretto nei loro confronti – e causa in alcuni di loro anche dei problemi comportamentali. Ma se la tenerezza che il mio cane mi suscita mi spinge, a volte, a rivolgerle attenzioni che dedicherei a un cucciolo della mia specie, non c’è niente di malato né immorale: è la naturale conseguenza dell’investimento emotivo ed economico, oltre che del senso di responsabilità e di protezione che inevitabilmente provo nei suoi confronti. L’importante è ricordarsi di agire sempre attraverso gesti non fraintendibili dal loro punto di vista.
Non ci sono gerarchie, né differenze di specie, nell’affetto e nella dedizione. 

Source: freedamedia.it

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