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Vivere in città ci aiuta a essere più lungimiranti

4 aprile 2017

Le città sono il mio luogo preferito: non il mare, non la montagna, non il lago, ma le città.

È così da sempre, e di solito non è una cosa semplice da spiegare. Le prima volte che alla domanda “ti piace di più il mare o la montagna?” rispondevo “nessuno dei due: le città”, c’era sempre qualcuno che mi guardava strano. Succedeva (e ogni tanto succede ancora) perché in genere siamo abituati a non contemplare neanche la città tra i nostri luoghi preferiti, perché la città è il posto in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo, da cui cerchiamo di scappare appena arriva qualche giorno libero.

Comunque a me le città piacciono perché mi sembrano sempre vive, in movimento, mai statiche e, soprattutto quando ero adolescente, odiavo stare ferma, non avere stimoli e non fare nulla. Avevo sempre bisogno di pensare che “domani” avrei fatto un sacco di cose nuove: stare in spiaggia a prendere il sole era una tortura. Ora le cose sono leggermente cambiate e ogni tanto anche io sento il bisogno di fermarmi, ma la mia passione per le città ha finalmente trovato un riscontro scientifico che la spiega meglio di come io ho cerco di fare da anni.

Un recente studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology  ha infatti dimostrato che, al contrario del pregiudizio diffuso sull’aumento dannoso della densità della popolazione mondiale, vivere in posti molto affollati, e quindi in città, ha un risvolto positivo; aiuta, cioè, a essere più lungimiranti, a prendere in considerazione più seriamente il proprio futuro, a tirarsi fuori dal presente.

Lo studio in questione è stato svolto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan, coordinati da Oliver Sng.  Punto di vista a partire da cui è stata svolta la ricerca è quello della life history theory, una branca dell’ecologia evoluzionista, che, per farla molto semplice, studia il modo in cui il ciclo della vita di ogni specie si modifica storicamente. Un ciclo con tempi più lunghi, in cui, ad esempio, ci si accoppia più tardi e quindi ci si riproduce anche più tardi, implica una durata media della vita più lunga. Se i membri di una determinata specie, infatti, si permettono di aspettare è perché sanno di avere tempo.

Lo studio è diviso in una parte analitica e in una sperimentale.

In quella analitica è stato analizzato l’incrocio di una serie di dati. In particolare il modo in cui al variare della densità di alcune città degli Stati Uniti variavano anche i parametri relativi ad alcuni dei punti attorno a cui ruota la life history theory, e quindi l’età a cui avviene la maturazione sessuale, l’età a cui si iniziano ad avere figli, l’età in cui ci si sposa e la quantità di soldi e tempo che vengono investiti nella propria educazione. Si è notato che chi abita in luoghi più affollati realizza più tardi tutte queste cose, ha meno figli ed è disposto a investire di più nella sua formazione: tutti fattori che indicano una maggiore lungimiranza e una mentalità più orientata verso il futuro.
In quella sperimentale, invece, un gruppo di volontari è stato stimolato a pensare a luoghi molto affollati attraverso una serie di mezzi, dalla lettura di articoli riguardanti l’aumento della densità della popolazione all’ascolto di rumori caotici e potenzialmente fastidiosi. Al termine i volontari sono stati sottoposti a un questionario con domande relative ai fattori portanti della life history theory, e hanno mostrato tutti di avere una prospettiva di vita più lunga e una visione più improntata sul futuro.

Le ragioni precise di questo fenomeno non si conoscono. I ricercatori hanno ipotizzato che sia dettato dal fatto che un ambiente più popoloso, e quindi una città, sia più stimolante e provochi una crescita della competitività tra i singoli individui.

Se mi devo distinguere tra più persone allora investirò più tempo nella mia formazione, farò meno figli per educarli meglio e così via, nella speranza di essere tra i migliori membri della società a cui appartengo.
Sono conclusioni provvisorie: non tutti siamo caratterialmente competitivi e non è detto che questo tipo di indagine venga confermata anche in altri paesi degli Stati Uniti o addirittura di continenti diversi. Ma è comunque un bel risultato a cui pensare, soprattutto perché di solito siamo subissati dalle conseguenze negative causate dalla vita in città, sia psicologiche (si dice che vivere in città aumenti il rischio di sviluppare patologie mentali) sia mediche. Non sono le uniche.

Source: freedamedia.it

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