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Che cos’è il piede di Venere

Nata dalla schiuma del mare, bellissima, con i capelli biondi (ma anche un po’ ramati), lunghissimi e lucentissimi (che neanche dopo 18 balsami), la pelle bianchissima, il corpo sinuoso, ma mai eccessivo: a Venere le cose non sono andate per niente male. C’è da dire, però, che essere, per secoli, IL canone di bellezza per eccellenza non è che sia semplice: tutti stanno lì a guardarti, alla spasmodica ricerca di qualche difetto, che ti renda più assomigliante ai comuni mortali.

Ma Venere questo ruolo se l’è gestito molto bene: perchè la sua non è mai stata una bellezza statica, perfetta fino all’ultimo millimetro. Perché aveva capito che la bellezza non esiste senza imperfezioni e che, anzi, sono proprio le imperfezione a produrla, sia che la si intenda come armonia, sia che la si intenda come movimento. Stando alle sue rappresentazioni artistiche, e in particolare alla più celebre in assoluto, cioè quella del Botticelli, Venere di imperfezioni ne aveva parecchie: il collo un po’ lungo, un certo strabismo, quei piedi strani. Col tempo proprio queste imperfezioni sono diventate sinonimo universale di bellezza: “quella ragazza è bellissima. Ha lo strabismo di Venere”, o ancora “ho il secondo dito del piede leggermente più lungo del secondo, proprio come Venere”.


Quella di rappresentare il piede con il secondo dito più lungo del primo, in realtà è una tendenza tipica dell’arte greca classica e prima ancora di quella egizia, tant’è che quel piede è noto anche come piede greco o piede egizio. Basta pensare, ad esempio, ai piedi di statue molto famose, come l’Artemide o il Laoconte.

Secondo gli storici dell’arte questa tendenza avrebbe molto a che vedere con il desiderio, tipico dell’arte greca, di produrre armonia, rapporti tra le proporzioni studiati matematicamente attraverso la sezione o numero aureo. La sezione aurea è la parte di una linea C divisa in due parti diseguali. La sua lunghezza ha una proporzione matematica particolare rispetto alla parte di linea rimanente. In particolare, la parte più corta b sta alla più lunga a come questa sta all’intero segmento, cioè b:a = a:C.


Questa proporzione, che ricorre spesso in natura, è considerata un’ideale di bellezza e quindi riprodotta sia artisticamente che architettonicamente. Studiata prima anche dagli egizi, ma formalizzata da Euclide, la sezione aurea ha ispirato quasi sicuramente l’architetto e scrittore romano Marco Vitruvio Pollione, teorizzatore dell’uomo vitruviano, successivamente ripreso da Leonardo. Nel libro X del De Architectura scrive:

Il centro naturale del corpo umano è l’ombelico; infatti, se una persona si distendesse a terra supina a braccia e gambe divaricate, puntando il compasso sull’ombelico e tracciando una circonferenza, questa toccherebbe entrambe le estremità dei piedi e delle mani. Nondimeno, com’è possibile inscrivere il corpo in una circonferenza così se ne può ricavare un quadrato; misurando la distanza dai piedi alla sommità del capo e riportandola a quella che intercorre tra un estremo e l’altro delle braccia aperte si costaterà che le misure in altezza e larghezza coincidono come nel quadrato tracciato a squadra.

Anche se Vitruvio non dice espressamente quale dito del piede debba toccare il cerchio, 1500 anni dopo, Leonardo da Vinci, disegna l’uomo vitruviano, il cui secondo dito, leggermente più lungo del primo, è perfettamente allineato con il cerchio. Molti storici dell’arte sostengono che Leonardo, per realizzarlo, si sia ispirato alla sezione aurea, ma la verità è che se si prova a misurarla il numero che si ottiene, per quanto gli si avvicini molto, non è quello aureo.

Del resto, che il piede di Venere non fosse una semplice rappresentazione artistica lo sapevamo già: basta guardarsi intorno per accorgersi che siamo in tanti ad averlo; io, ad esempio, ce l’ho. Ma di cosa si tratta, quindi? All’inizio del ‘900 Dudley Morton, ortopedico statunitense, ha studiato il fenomeno del secondo dito e l’ha chiamato Morton’s Toe (dito di Morton). Secondo Morton questa conformazione del dito del piede, chiamato anche Metatartus atavicus, è in realtà un retaggio degli uomini primitivi, come il daltonismo o il coccige. Il Metatrtus atavicus serviva ai nostri antenati per agevolare il passaggio da un albero all’altro.

Oggi circa il 20% della popolazione mondiale ha il dito di Morton. Estinto il bisogno di arrampicarsi sugli alberi rimane il suo aspetto problematico: in alcuni casi può infatti causare fastidi ortopedici, a causa di un diverso bilanciamento del peso sul piede. La scoperta di Morton spiega come mai l’arte greca rappresentava così i suoi soggetti: non per desiderio di creare proporzioni divine, ma semplicemente per imitare la realtà, umana (anche fin troppo). Ed è vero che forse il piede di Morton è un po’ fastidioso, ma se Venere è riuscita a sopportarlo, stando in equilibrio su una conchiglia, possiamo farlo anche noi.

Source: freedamedia.it

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