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I Paesi sul podio per presenza di donne in Parlamento

Tre paesi ‘poveri’ sono all’avanguardia per presenza femminile in politica. Lo scopriamo esaminando la classifica dell’IPU, l’organizzazione mondiale dei Parlamenti, fondata nel 1889 e che collabora strettamente con le Nazioni Unite. Questa graduatoria viene stilata dal 1997. Al 31 dicembre 2002, i primi dieci Paesi al mondo con maggiore percentuale di presenza di donne in Parlamento erano:

  1. Svezia
  2. Danimarca
  3. Finlandia
  4. Norvegia
  5. Costa Rica
  6. Islanda
  7. Olanda
  8. Germania
  9. Argentina
  10. Mozambico

La penisola scandinava occupava dunque le prime quattro posizioni. Paesi noti non solo per lo sviluppo economico, ma anche per una distribuzione della ricchezza più equa ottenuta anche grazie ad un efficiente welfare. E l’Europa riusciva ad occupare per metà le prime 10 posizioni (qui la classifica completa di allora).

A maggio 2017, la situazione è completamente diversa. I Paesi scandinavi mantengono buone posizioni, ma non sono più al vertice. Il loro posto è stato preso da Ruanda, Bolivia e Cuba. E solo in Ruanda e Bolivia c’è maggiore presenza di donne rispetto agli uomini in parlamento (il primo Paese a raggiungere un tale traguardo è stato proprio il Ruanda, nel 2008); per il resto del mondo la presenza maschile è sempre superiore.

I primi dieci Paesi per presenza femminile nei rispettivi parlamenti sono oggi:

  1. Ruanda
  2. Bolivia
  3. Cuba
  4. Islanda
  5. Nicaragua
  6. Svezia
  7. Senegal
  8. Messico
  9. Finlandia
  10. Sud Africa

I primi tre Paesi dell’attuale classifica (Ruanda, Bolivia e Cuba) non sono certamente da considerare tra i più ricchi al mondo. E’ dunque avvenuto un cambiamento sostanziale. L’Unione Europea riesce oggi a piazzare solamente due Paesi tra i primi 10 (la Svezia è sesta e la Finlandia decima).

Da quando questi tre Paesi sono riusciti a salire in classifica?

Sono state in particolare le elezioni in Ruanda del settembre 2003 a stravolgere il quadro. Da quel momento in avanti, il Paese africano si è insediato al primo posto di questa speciale classifica senza mai abbandonarlo. Un bel successo, in un Paese dalla storia tanto drammatica (ricordiamo il genocidio nel 1994).

Fino al 2014, il secondo posto era conteso tra Andorra e Svezia. Ma le elezioni boliviane del 2014 hanno provocato un cambiamento profondo. Fino a quel momento, il Paese sudamericano era addirittura 45esimo per donne in parlamento. Ma da ottobre 2014, quando Evo Morales ha vinto per la terza volta le elezioni generali, la Bolivia è diventato il secondo Parlamento al mondo per presenza femminile, e mantiene ancora oggi questa posizione.

La donna a Cuba ha sempre avuto buona rappresentanza in Parlamento; infatti il Paese risulta tra le prime 15 posizioni sin da quando viene compilata questa classifica. Dalle elezioni del 2013 in avanti, è riuscito a mantenere saldamente il terzo posto.

 

Esiste una spiegazione economica al fenomeno?

In realtà, nonostante questi tre Paesi rimangano molto al di sotto degli standard economici dei Paesi più sviluppati, proprio negli ultimi 15 anni i miglioramenti sono stati molti. Dunque una spiegazione economicistica di quanto stiamo osservando potrebbe avere senso. Secondo la Banca Mondiale, diseguaglianze e povertà sono diminuite molto in Ruanda e Bolivia negli ultimi 15 anni.

Stando ai dati disponibili, la povertà calcolata su base nazionale è crollata in entrambi i Paesi; le diseguaglianze (misurate con l’indice Gini) in maniera particolare sono scese in Bolivia, ma seppure in maniera molto inferiore, ciò è successo anche in Ruanda. Comunque i due Paesi mantengono una distribuzione della ricchezza profondamente diseguale se paragonati a quelle dei Paesi Scandinavi. Per Cuba sono disponibili meno dati, ma sappiamo che qui il Pil pro capite è aumentato molto negli ultimi 20 anni.

Ad ogni modo anche politiche volte al cambiamento culturale hanno inciso: in Ruanda sono state approvate leggi per proteggere le donne dalla violenze e per attribuire loro maggiori diritti economici; in Bolivia le pene per chi non le rispetta sono state inasprite nel 2013.

 

 

Source: www.agi.it

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