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Ero seduta

9 aprile 2017

Ero seduta.

Seduta come tanti, seduta a pensare come pochi.

Mi sono affacciata alla finestra, gli occhi socchiusi.

Ho guardato giù e c’era la strada, che mai mi era sembrata così lontana.

Ho guardato su e gli acquerelli del cielo mi sono sembrati a pochi centimetri dalla mia mano, tesa verso l’alto.

Ho guardato avanti e nient’altro che case, alberi, case.

Non ho guardato indietro, sono stanca di farlo.

In un barattolo di vetro, un barattolo rotto. Così mi sentivo.

Un equilibrista, ecco. Che non trova l’equilibrio, e che quindi non lo perde neanche. Fatto sta che non ce l’ha, ma non ha più voglia di cercarlo, perché non vuole più camminare sempre sulla stessa fune.

Volevo essere polvere, con tutta me stessa. Granello di polvere che galleggia in aria. Volevo essere così, impercettibile finché celata dal buio e protagonista già alle prime luci. Sarebbe stato impossibile ignorarmi, allora.

Oppure essere aria, essere sempre.

E mentre si faceva sera e gli acquerelli diventavano sempre più scuri, ho guardato il palmo delle mie mani ed ho sorriso, ho sorriso a tutto ciò che con quelle due mani avrei potuto fare.

Nulla ha importanza finché qualcuno non gliene attribuisce, nulla esiste finché qualcuno non lo crea.

Improvvisamente mi sono sentita padrona di tutto ciò che vedevo, padrona della sua importanza, padrona di ciò che potevo farlo diventare.

Ho alzato gli occhi, buio. Ho guardato in basso, buio. Ho guardato avanti, buio. Ho guardato le mie mani, e luce.

Ero già quel granello di polvere, ero già la luce che illuminava me stessa. Ero già protagonista di ciò che io potevo vedere.

E mi sedetti di nuovo.

 

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