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Le fake news entrano in campagna elettorale. C’è davvero un Russiagate italiano?

“Vi abbiamo sgamato, amici dell’opposizione” attacca Matteo Renzi dal palco della Leopolda. Secondo il Pd, dietro al vasto network di siti di notizie e profili Facebook che lo attaccano, con vere e proprie bufale o notizie vere ma caricate di retorica (è importante distinguere), ci sarebbe una regia unica, che unirebbe Lega e Movimento Cinque Stelle e arriverebbe dall’estero, addirittura da Mosca.

Il quotidiano di Torino pubblica un retroscena nel quale scrive che “l’allarme dell’intelligence americana sull’offensiva russa per influenzare la politica italiana era scattato nell’autunno del 2016, quindi molto prima che le operazioni di Mosca per condizionare le presidenziali Usa diventassero note.

La preoccupazione di Washington era così alta, che il dipartimento di Stato inviò una missione a Roma per informare del pericolo i colleghi dell’ambasciata di Via Veneto. Lo scopo non era discutere se il Cremlino stesse cercando di manipolare la scena politica italiana, ma come reagire ad un attacco già reale e in corso”.

Quali prove ritiene di avere il Pd

“I servizi americani e i diplomatici avevano notato uno schema che si ripeteva un po’ dappertutto. Ovunque c’erano le elezioni, cominciavano a circolare notizie false, azioni propagandistiche, gruppi politici che favorivano gli interessi della Russia, o puntavano a destabilizzare i paesi che prendevano le distanze da Mosca”, scrive ancora La Stampa, “le prove portate a Roma dalla missione del dipartimento di Stato erano concrete, ma sarebbe impossibile rivelarle senza violare la legge”.

Le prove di un coordinamento tra Carroccio e MoVimento nella gestione dei siti accusati di disinformazione sarebbero invece quelle contenute nell’inchiesta del New York Times e ricordate da Renzi alla Leopolda: la pagina ufficiale del movimento “Noi con Salvini” condividerebbe lo stesso codice identificativo per la pubblicità di Google (Google adsense) di alcune pagina web a supporto del M5s. come “info5stelle” e “video5stelle”.

Il codice è quello che serve a tracciare il traffico web a fini di pubblicità e sarebbe riscontrabile anche in siti web di “gruppi cospirazionisti” e ancora in altri “a favore di Vladimir Putin e della Russia”: IoStoConPutin.info e mondolibero.org. In sostanza, il gestore delle pagine sarebbe lo stesso.

Ma per Google il codice adsense “non è un indicatore affidabile”

Il Fatto ha pubblicato un estratto della replica di Google al New York Times. “Non abbiamo dettagli sugli amministratori del sito e non possiamo speculare sul motivo per cui hanno lo stesso codice dell’annuncio, spiega Mountain View, “qualsiasi editore che utilizza la versione self-service dei nostri prodotti può aggiungere il codice al proprio sito. Spesso vediamo siti non collegati che utilizzano gli stessi ID, quindi non è un indicatore affidabile che due siti siano connessi”. Google non ha però rivelato chi sia l’amministratore delle pagine, ovvero se i ricavi pubblicitari che ne derivano arrivino o meno alla stessa persona.

La difesa di Lega e Cinque Stelle

Luca, consulente di Matteo Salvini per il digitale, Morisi ha sostenuto che il problema è nato dal fatto che un ex “sostenitore dei M5S ha aiutato a costruire la pagina ‘Noi con Salvini’ e ha copiato ed incollato i codice dalla sua pagina di sostenitore dei M5S, così come quelli di ‘Io StoConPutin.info’” con quelle di Salvini.

Morisi ha però negato di avere a che fare con i siti pro-Putin o pro-5 Stelle. Il Movimento Cinque Stelle, da parte sua, ha affermato che le pagine in oggetto sono create da fan e loro non possono farci niente. La frottola sulla presenza di Boschi e Boldrini al funerale di Totò Riina, ad esempio, era stata rilanciata da una pagina chiamata “Virus5Stelle” che non ha legami ufficiali con il partito e fa parte di un più ampio network di siti simpatizzanti sulla quale il MoVimento non ha alcun controllo (c’è pure chi, tra i grillini, sostiene siano state messe online per screditarli).

In un editoriale intitolato Ghostbusters, il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ribalta le accuse e le rivolge contro Renzi: “Facebook ‘starebbe creando una task force per arginare il dilagare di fake news che rischiano di condizionare le elezioni italiane’. Urca, e chi ha dato la notizia? ‘Una fonte anonima del governo italiano’: e il NYT se l’è bevuta, anche se Facebook ‘non conferma ufficialmente’, però ‘è verosimile”’ Del resto “Renzi sospetta l’intervento di una ‘mano’ russa”. E chi gliel’ha detto? ‘Una società di sorveglianza informatica’. E di chi è? Del suo amico Marco Carrai, che s’è messo in società con uno smanettone di 23 anni, Andrea Stroppa, che da minorenne faceva l’hacker per Anonymous Italia durante gli attacchi ai siti di Polizia, Carabinieri, governo, Viminale, Guardia costiera e – pensate un po’ – al blog di Grillo; perciò fu imputato e ottenne il perdono giudiziale dal Tribunale dei minori perché la sua pena era sotto i 2 anni di reclusione. Quindi siamo in buone mani”.

Stroppa: “Contro di me diffamazione”. Carrai: “Io non c’entro”

Queste ultime accuse sono state smentite da Stroppa, che ha scritto una lettera aperta a Travaglio con la quale nega di aver mai attaccato i siti citati nell’editoriale: “Sono andato di fronte al tribunale a rispondere alla legge italiana, per altri fatti. E questo come può intuire si chiama diffamazione”.

E a chi lo critica per l’essere stato ex consulente di Renzi, il giovane informatico, in un’intervista a La Stampa replica che “alcuni giornalisti invece di preoccuparsi se sono o meno consulente o amico di Renzi dovrebbero riflettere su quello che è emerso. La cosa più triste è che nemmeno due mesi fa, grazie a un report da me pubblicato, sono stati individuati in Europa alcuni membri dell’Isis. Alcuni giornalisti invece di chiedermi di quel lavoro mi hanno chiesto se ancora sento Carrai”.

Il quale, da parte sua, in un colloquio con il Corriere ha affermato che la sua società di cybersecurity, Cys4, non c’entra con l’articolo pubblicato dal Nyt. “È stata la sua società di sorveglianza informatica, dove lavora anche Stroppa, a girare il report al Nyt?”, domanda il giornalista del Corriere. “Lo escludo nel modo più totale”, replica Carrai, tra i più importanti consulenti di Renzi, “Stroppa lo conosco e per un periodo ha collaborato con una mia società. Chiunque può andare al registro delle Camere di commercio e vedere che non ho mai avuto società con lui”.

Fake news o informazione di parte?

Oltre a essere autore del rapporto citato dal Nyt, Stroppa aveva anche aiutato BuzzFeed a redigere l’inchiesta su una serie di siti rei di diffondere “notizie nazionaliste e anti immigrati”. L’articolo della testata Usa (anch’essa non immune alle bufale) aveva parlato, erroneamente, di fake news, portando Facebook a bloccare le pagine di alcuni siti, come DirettaNews, facenti capo alla società Web365. Non di fake news si trattava, però, ma di notizie vere caricate da una forte retorica nazionalista.

Lo stesso vale per alcune delle pagine denunciate dal New York Times. “Io Sto Con Putin”, per esempio, è uno dei tanti blog filorussi che riprendono notizie da siti vicini al Cremlino, come Sputnik o Russia Today. Informazione di parte, distorta, se non vera e propria propaganda, quindi. Ma i siti di bufale tout-court, come il defunto LiberoGiornale, sono un’altra cosa. Non solo, come spiegò Vice, esistono anche pagine Facebook pro Renzi che utilizzano gli stessi metodi e furono particolarmente agguerrite durante la campagna per il referendum costituzionale. Distinzioni spesso complesse e sottili ma che sarà importante tenere a mente durante l’imminente campagna elettorale, che vedrà il tema delle fake news al centro del dibattito. Un dibattito dove, al momento, non risulta coinvolto il politico italiano per il quale è presumibile Putin tifi davvero: Silvio Berlusconi.

Source: www.agi.it

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