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Cara TV, Smettila di Dire Alle Donne Come si Dovrebbero Vestire

12 settembre 2017

Quando mio papà mi ha detto che avremmo finalmente messo la pay TV ho pianto lacrime di felicità perché sapevo che – nascosti tra intrattenimento e sport – avrei trovato i canali dedicati alle sfilate e allo stile. Parlo di quei programmi TV che ti fanno conoscere i nomi degli stilisti, discutono dello stile delle star di Hollywood e spesso vengono in aiuto alle donne che vogliono cambiare stile. La mia droga.

Ho passato i più bei anni della mia vita – davvero i migliori – seduta comodamente sul divano di pelle di casa a guardare programmi di questo genere, non solo ero innamorata della moda, ma ero anche un’adolescente insicura che aveva bisogno di consigli di stile: il tipo del terzo anno si accorgerebbe delle mie tette se indossassi una T-shirt rossa? Il mio sedere sembrerebbe più piccolo se indossassi un pantalone nero a gamba larga? La manica a tre quarti è quella che mi farà sembrare più slanciata? Se non riuscivo a cambiare il mio corpo, di sicuro potevo controllare cosa gli mettevo sopra. Lo studio delle proporzioni era l’unica matematica di cui avevo bisogno.

Poi, un giorno, ho conosciuto un uomo gentile. Tim Gunn, il conduttore di Guide to Style, un programma dove il nostro eroe cambiava look alle donne stanche di litigare con lo specchio. Lui per me non era solo il rettore della Parsons School of Design di New York, una delle scuole di fashion design più celebri del mondo da cui sono usciti stilisti come Alexander Wang, Derek Lam, Jenna Lyons, Marc Jacobs e tanti altri -, non era solo il mentore dei concorrenti di Project Runway (uno show dove aspirati stilisti si sfidano per conquistare la chance di sfilare durante la New York Fashion Week), no per me era un salvatore, l’uomo che mi ha insegnato che AVEVO bisogno di un trench in autunno. Lo so, un uomo che salva una donna, ma quello che mi è sempre piaciuto di Tim Gunn è che proponeva un makeover (una trasformazione) pensato ad hoc per la protagonista della puntata: la incontrava, si faceva raccontare la sua storia e alla fine le proponeva 10 capi essenziali su cui avrebbe potuto facilmente costruire il suo futuro armadio e una migliore versione di sé. Ancora una volta, Tim Gunn era matematico, anzi, chirurgico.

Dopo Tim Gunn ho continuato a guardare questi programmi di cambio stile, italiani, inglesi e americani, fino a quando negli ultimi anni ho iniziato a provare un senso di disgusto. A un certo la maggior parte di questi show televisivi ha perso la sua nobile missione: al centro della puntata non c’erano più la donna e la sua personalità, ma solo cosa pensavano di lei e del suo stile i presentatori. L’empatia ha lasciato il posto al giudizio, i 10 capi essenziali hanno lasciato il posto a un serie di rigide regole divise tra capi SI e capi NO. Si è smesso di credere nello stile personale e si è deciso che la miglior versione di una donna, di qualsiasi donna, è sempre quella più minimal ed elegante. Ma chi l’ha detto?
Che la protagonista della puntata sia una ragazza di 20 anni con qualche chilo in più, una mamma che ama le stampe animalier o una punk con la cresta, la risposta è sempre la stessa: truccati come se non fossi truccata, stirati i capelli, indossa una camicia di seta, trova un pantalone che copra i tuoi difetti. Ecco così sei meglio.
E poco importa che la protagonista del makeover passi metà puntata a ripetere che lei si sente se stessa solo quando indossa i jeans o con i capelli rosso fuoco, non c’è verso di sperare che i professionisti del settore la aiutino ad accrescere questo suo senso dello stile, no signori. La parola chiave è sempre pulire, rimuovere, nascondere. L’immagine che a fine puntata si riflette nello specchio non è quella di una persona nuova, ma quella di una persona senza passato. Esiste solo in quel momento e nelle repliche della puntata.

VOGLIAMO SMETTERE DI DIRE ALLE DONNE COSA DOVREBBERO INDOSSARE? 
Vogliamo smettere di dire alle donne quali parti del loro corpo dovrebbero coprire e come farlo? Vestirsi non è solo una questione di contorni, non è colorare una figura geometrica senza uscire dai confini. Vestirsi è un esercizio intimo che ha il coraggio di svelarsi agli occhi degli altri: c’è qualcosa di più intimo di rivelare le proprio ossessioni? C’è chi indossa solo il nero, c’è chi non riesce a vedersi con le braccia scoperte, chi prova repulsione per un materiale e chi sceglie proprio di non pensarci.

Per me, vestirmi comporta soddisfare ben due livelli di lettura:
Il primo livello è valorizzare la mia fisicità (parola che viene utilizzata proprio in questi programmi per descrivere una persona sovrappeso. Se qualcuno la usa con voi – sappiatelo -è un modo carino per dirvi che secondo lui non andate bene) ovvero cosa mi metto che mi stia matematicamente bene?
Il secondo livello è quello dello stile personale, ovvero cosa si abbina alla mia personalità? Quanto quello che indosso racconta la persona che sono?
A volte le due cose non coincidono: a volte scelgo di vestirmi per il mio corpo, ma moltissime altre volte l’intenzione è proprio quella di mostrare altro, è il piacere di indossare qualcosa che mi piace aldilà del fatto che mi stia bene. È possibile che ci si voglia vestire per valorizzare la personalità e non il corpo? Credo che a volte mi capiti. Non non avete i miei stessi problemi? Ecco cosa intendo quando dico che vestirsi è un atto intimo.

E che dire dei programmi dove viene chiesto a degli sconosciuti fermati per strada di giudicare il vostro look e dire se vorrebbero baciarvi, fidanzarsi o sposarsi con voi?

“Hai visto Mariella, il tuo look volgare di prima spingeva i poveri uomini a volerti solo baciare, ma ora con un makeup che non intimidisce nessuno e con la camicia bianca tutti questi uomini ti vogliono sposare!”. Ma magari non li voglio sposare io.

Source: freedamedia.it

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