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Perché È Importante che Il Femminismo sia Pop

Perché È Importante che Il Femminismo sia Pop
23 maggio 2018

Il fatto che il femminismo oggi sia diventato così popolare sembra dare fastidio a molti. Non mi riferisco solo a chi non crede nel femminismo in generale e vorrebbe che il sistema patriarcale restasse in salute nei secoli dei secoli. Capita spesso di sentire persone favorevoli alla causa – donne e uomini – intente a criticare il cosiddetto femminismo pop. Il femminismo di oggi avrebbe perso la sua carica radicale e rivoluzionaria, sarebbe mera facciata. Ma è davvero così?

È chiaro che nel momento in cui un fenomeno diventa mainstream e se ne parla tanto, si sviluppano diversi modi di recepirlo. Avremo – come in effetti abbiamo – i convegni universitari, i tomi di riflessione accademica e le manifestazioni in piazza ma anche le t-shirt a tema, i libri per bambine e le app per il telefonino, gli hashtag, i film e gli eventi sponsorizzati. Io – che ho a cuore la causa femminista, anche per motivi biografici – faccio fatica a vedere in quest’ondata di modi e forme alternative a quelle classiche qualcosa di deprecabile. Viviamo in un’epoca di rinascita del femminismo, un’epoca in cui i social hanno un ruolo importante. E i social sono un mezzo democratico che hanno reso trasversale quel che prima era ben più circoscritto e uniforme. Hanno fatto sì, ad esempio, che anche chi non è interessato alle questioni di genere, comunque se le trovi sotto gli occhi ogni giorno e non possa più far finta di niente. I social spesso hanno aiutato a dare rilevanza politica a molte questioni attraverso modalità non politiche. 

L’idea che il femminismo debba essere trattato come qualcosa di esclusivamente teorico o rigoroso – persino ascetico – che debba essere mantenuto all’interno di incontaminate teche devozionali, lontano dalle dinamiche di mercato, dalla pubblicità, dall’estetizzazione, mi sembra sbagliata e piena di pregiudizi. È un’idea moralistica e reazionaria, che non si accorge di praticare uno degli sport più amati nella nostra società: il parlare male delle donne, o delle cose “da donna”. Sistematicamente quando qualcosa di femminile diventa popolare, prontamente scattano le dita puntate, anche da parte delle donne stesse: non è abbastanza serio, non è abbastanza radicale. Non è abbastanza, non sei abbastanza.

Io penso sia sbagliato pensare che il registro pop, il tono umoristico o la cura grafica dei contenuti, di per sé impoveriscano il femminismo: in realtà oggi molte più persone ne parlano, parlano di femminismo e questioni di genere. E non è che prima quelle persone ne parlavano comunque e in modo migliore, più tecnico, competente o rivoluzionario. C’è una grossa fetta di popolazione che prima non si poneva neanche il problema, mentre ora se lo pone. Quando una cosa diventa di massa, ognuno ci fa quello che vuole o che può, anche a seconda del contesto e degli strumenti che ha a disposizione. Però tutta questa visibilità – e anche le magliette, i portachiavi, le GIF ecc. – è comunque un modo per occupare un posto sulla scena pubblica, per creare occasione di scambio e eventualmente anche approfondimento personale.

Io credo che il femminismo – così come un po’ tutto ciò che chiama in causa la realtà della nostra vita incarnata e in relazione – sia un terreno più concreto e emotivo che teorico o da manifesto politico. L’elaborazione intellettuale conta, ma all’inizio, o in alcuni momento specifici, per il resto è sul piano dei rapporti individuali e del modo di sentire che le cose devono cambiare.

La società non è fatta solo di professori o intellettuali col gusto per la provocazione, la società è, evidentemente, una cosa molto più ampia, ed è giusto che circolino forme di educazione di genere anche ludiche, divertenti, dedicate alle bambine e alle adolescenti, così come canali in grado di parlare a chi non ha fatto studi superiori o non ha una vera e propria vocazione politica. Il fatto di rendere il femminismo una realtà trasversale e corale è importante. I punti di vista si devono moltiplicare, non uniformare gli uni agli altri. Poi è chiaro che bisogna uscire anche dall’aspettativa che la maglietta con le scritte o il tatuaggio col simbolo di Venere cambino automaticamente le cose, ma che quelle presenze abbiano comunque un senso e possano smuovere le acque, anche in contesti finora mai interessati dalla sensibilità femminista, penso sia una prospettiva da non sottovalutare.

È sempre rischioso dire cosa debba o non debba essere il femminismo. Il femminismo è sicuramente la convinzione che l’uomo e la donna siano uguali, o per meglio dire, che lo spazio che essi devono avere – sulla scena pubblica e non solo – sia lo stesso. Lo spazio dev’essere lo stesso, poi ognuno deciderà come riempirlo. Il femminismo è l’idea è che le forme tradizionali – i cosiddetti stereotipi – non sono affatto qualcosa di vincolante e di fisso, ma possono essere decostruiti, destrutturati, anche rifiutati, manipolati, invertiti. Questo è il senso di base del femminismo: qualcosa di molto ampio, un campo largo di riscrittura e revisione dei nostri comportamenti. Il modo in cui poi ognuno decide di abitare questo spazio può essere vario e dipende dalle caratteristiche di ognuno e dalla sua vita, dalle sue preferenze o possibilità. Chi critica il femminismo contemporaneo spesso lo fa per una forma di snobismo o di cecità: non vede che le opzioni e le necessità non sono solo le sue o delle persone come lei/lui.

Chi critica il femminismo popolare di oggi lo fa sulla base di una visione del tutto ideale di cosa dovrebbe essere il femminismo. Rivela una certa carica illiberale, dato che non si limita a voler praticare il femminismo a suo modo ma vorrebbe che le forme contemporanee del femminismo non esistessero proprio. Non ci sono solo le frequentatrici di circoli e collettivi o le militanti politicizzate. Esiste un mondo di bambine, ragazzine, lavoratrici, casalinghe, pensionate, rispetto alle quali è innegabile che in questo modo – moltiplicando le opzioni e gli strumenti, i mezzi – il messaggio possa giungere a destinazione e risultare più efficace.

Viviamo nell’epoca della rappresentazione e dell’autorappresentazione e mi sembra insensato non riconoscere quanto l’immagine conti e sia potente. Non è che il femminismo sia diventato solo hashtag e t-shirt: è diventato anche magliette e gadget. Se il femminismo è (anche) qualcosa di molto diverso da quel che era dieci o vent’anni fa, è perché il mondo è qualcosa di assolutamente diverso da ciò che era allora. Il modo in cui ognuno decide di attraversare questo cambiamento dipende da noi: leggere, ascoltare, informarsi e fare spazio alla diversità dei linguaggi è probabilmente una strada più feconda del semplice rifiutare per partito preso tutto tutto ciò che ci sembra eccessivamente popolare.

In fondo il senso del femminismo, e in realtà un po’ di tutte le battaglie per la parità e l’uguaglianza, è anche un po’ questo: pensare che non esista un unico modo di vivere, che le esperienze e le prospettive possano convivere, affiancandosi in senso orizzontale, le une accanto alle altre. Questo è, o dovrebbe essere, il senso dell’inclusività: allargare lo spazio, affinché ci sia posto anche per chi è diverso da noi. Ed è importante che tutto ciò inizi a trovare una cassa di risonanza adeguata anche all’interno della cultura popolare.

Source: freedamedia.it

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